Gastra e dintorni

Castelfranco/Pian di Scò Le news Terre Alte Valdarno

Testo di Vannetto Vannini

Nello scenario storico, morfologico e naturale del nostro Pratomagno, la valle originata dal torrente Resco Simontano, che scende tumultuoso da Gastra per unirsi poi nel piano con il Resco di Reggello, ha sempre avuto un’importanza notevole sia per la montagna che per la fascia di Setteponti interessata.  Il torrente Resco Simontano, chiamato così perché attraversa sotto la borgata della Canova l’abitato del Simonti, viene accompagnato fino alla base della conca montana   dal sentiero CAI 19, che si combina con   la vecchia stradella di risalita in un appassionante percorso storico naturalistico attraverso il fondovalle. Durante il percorso il torrente, che ha le proprie sorgenti a circa 1400 m di quota, riceve a ventaglio numerosi affluenti, mentre il sentiero, superata la località di Gastra (m911) si inerpica sulle pendici boscose del semi anfiteatro montano raggiungendo il crinale all’omonimo varco di quota   m. 1393, proseguendo poi nella vallata casentinese. Quella che oggi è una stradella solitaria  che attraversa una  vallecola boscosa  in gran parte proprietà della fattoria di Casamora, con rare abitazioni e frequentata solo da appassionati di solitudine ed  escursionisti, una volta,  come  riportato dal  prof. A. Fatucchi   nel volume “Le strade romane nel Casentino”- Arezzo-Accademia Petrarca 1974, era  frequentata  e molto antica, usata in epoca storica già dagli etruschi e  romani  perché  ha costituito  da sempre una delle principali vie di comunicazione fra le due vallate . Il territorio di questa vallecola,  dal basso fino alla quota di Gastra,  che oggi ci  appare   spopolato e boscoso , nel periodo  che va dal IX al XIII secolo  doveva essere invece molto abitato e coltivato con numerosi insediamenti  collegati da una fitta  rete viaria fra loro e con la principale  arteria,   come  la via  Sancti Petri  che sviluppandosi fra le pievi matildine alle pendici del Pratomagno valdarnese, con un tracciato longitudinale ricalcava in gran parte l’antica via romana Clodia/Cassia Vetus  e oggi  l’attuale Setteponti. Nel Medioevo, fino all’occupazione fiorentina di queste terre, quando il fondovalle era poco abitato e paludoso, il baricentro economico e politico di questa parte del Valdarno era situato nella zona montana, sia di altura che a quote più basse. Di questo ne sono testimonianza i resti, a breve distanza da Gastra, del castello dei Conti Guidi sul Poggio della Regina (m914), della fortificazione sul monte Acuto (m1131) e sul Poggio Castelluccio (m1386) che controllavano un altro storico percorso di comunicazione Valdarno/Casentino e fanno parte del crinale montuoso occidentale della vallecola del Resco Simontano, crinale che oggi coincide con il sentiero CAI 16.

 La grande quantità di acqua a disposizione è sempre stata l’elemento caratterizzante di questa valle, tanto che fino a pochi decenni fa si ricordava a Piandiscò la disposizione ministeriale del 1933 che dava il consenso per una captazione di varie sorgenti con successivo sbarramento sul torrente Resco. Questo progetto, finalizzato a portare acqua a San Giovanni Valdarno e Montevarchi, fu avversato fortemente dalla popolazione e dalla famiglia Budini Gattai proprietaria della fattoria di Casamora, tanto che non riuscì mai a decollare, poi venne la guerra.  L’acqua del Resco ha alimentato per secoli il fosso macinante, un canale sul cui percorso è stato costruito il paese di Piandiscò e dagli anni venti fino al secondo dopoguerra, come riportato in un libro di recente pubblicazione di Antonio Sordi: L’Aia dì Botta, un idro motore per la produzione di energia elettrica ad uso e consumo della fattoria di Casamora e poderi di proprietà e che ha dato alla località il nome di Turbina. Questa mini centrale elettrica provocò la reazione dei proprietari dei molini lungo il fosso macinante che protestarono perché avevano la convinzione che l’acqua del Resco, una volta passata dalla turbina, ne usciva dinervata e non più in condizioni di far girare bene i ritrecini collegati alle loro macine. Antonio Sordi parla di questo problema che esacerbò fortemente gli animi della popolazione e divise il popolo, tanto che si arrivò ad un consiglio comunale aperto, per risolvere il problema che aveva preso una brutta piega per l’ordine pubblico.

La toponomastica  della zona ci aiuta in parte  a capire la frequentazione della valle del Resco Simontano attraverso i secoli, perché un toponimo come Bologna deriva con facilità da un antico spostamento  di famiglie  dalla zona della città emiliana, altri  toponimi derivano dal cognome dei  proprietari in epoca  moderna come Casabiondo (Biondi),  Casamora (Morani) , Casamanno (Manni o Ermanno); alcuni derivano da   particolarità  del territorio come Podere la Fonte, Podere il Tiglieto, podere Praticino, Monti, altri invece da un’antica  attività continuativa  come Casa Polveriera, podere le Gualtiere,  La Cella (magazzino per mantenimento ), Ghiacciaia o attività recente come il toponimo la Turbina. Vi sono inoltre un certo numero di toponimi  di origine latina come Menzano, Treggiano, Campiano, Laterina, Figlinelli ma interessante è soprattutto il toponimo Gastra che il compianto Prof. Porri Dino, socio CAI fin dalla fondazione,  in un bellissimo articolo pubblicato sulla Storia del Valdarno (pag. 723) fa derivare dal latino castra, in questo caso specificoaccampamento  dei bizantini a difesa del valico  durante la guerra contro i Longobardi e proprio nei dintorni di Gastra  vi è un luogo chiamato ancora Camporomagnoli  (i bizantini erano chiamati romani).In questa esposizione toponomastica si mette in rilievo che non può essere casuale la distanza di poche centinaia di metri in linea d’aria fra Laterina che deriva dalla parola latina later-eris (mattone) e Figlinelli  che deriva dal latino figlina-ae ( arte  della terracotta).

 Oggi il territorio da Casabiondo a Gastra è sinonimo di solitudine, ma fino agli anni ‘50 era abitato. Di questo particolare si fa interprete Antonio Sordi con il suo libro, dove descrive la scuola elementare di Casa Formica. Casa Formica è  formata da una serie di edifici davanti alla villa fattoria di Casamora dove vi era un convento di suore che gestivano fra le altre cose un asilo e la scuola elementare,  molto frequentati tanto che nelle sue rime  Antonio Sordi scrive: “…..Bambini e ragazzi eran più di cento/ Arrivavan da ogni parte se pioveva o tirava vento/ Gli alunni scendevano da Gastra e Ponticelli/ Si incontravan con quelli  di Stoppi Capanni e Figlinelli/ Senza farsi tanti scrupoli/ Venivan senza ombrello da Piandupoli/Partivan presto la mattina/ Da Monti Menzano e Laterina / Male stavan quelli di Grati e Savernano/Un po’ meglio quelli di Bologna e Campiano/….”

Una volta la strada per Gastra partendo da Casabiondo   era, con attenzione, completamente percorribile in macchina per tutti pagando il pedaggio all’incaricato della fattoria di Casamora che abitava nella casa vicino alla sbarra, traversa che oggi è definitivamente abbassata per altri utenti, essendo la stradella da sempre proprietà privata e preclusa da anni a mezzi motorizzati non autorizzati. Oggi per arrivare al casone di Gastra occorre percorrere a piedi gli ultimi circa cinque km di stradella bianca. Vi sono poi altri sentieri collegati con quelli di crinale CAI, ma sono senza segnaletica e alcuni difficili. Gastra è nel comune di Castelfranco di Sopra che oggi è Castelfranco/Piandiscò e fa parte della parrocchia di Pulicciano, al quale paese è unita con un sentiero di una certa percorrenza e per esperti che parte dal borro dell’Inferno e che ad una certa quota si dirama anche per il Pratichino, che noi del CAI abbiamo fatto molte volte, anche con la neve abbastanza alta.

Le vicende di questa vallata dopo il periodo altomedievale, sono legate oltre che alla già frequentata mulattiera di comunicazione Valdarno/Casentino anche   alla presenza di un’antica abbazia dedicata a San Bartolomeo, che ha lasciato tracce importanti in antichi documenti custoditi in vari archivi. Le fasi storiche di questa abbazia sono poco conosciute, riportate però dal Repetti nella sua monumentale opera “Dizionario fisico storico della Toscana”, nel volume “Il movimento eremitico, monastico, conventuale e religioso nella diocesi di Fiesole “di monsignor Giuseppe Raspini, nel volume “Piandiscò. Un borgo e la sua pieve” di Sassolini-Dezza, ma soprattutto molto esauriente e ricco di riferimenti e date è un articolo di Silvia Malduri intitolato “Per una storia dell’abbazia di San Bartolomeo a Gastra” e riportato   in “Memorie Valdarnesi “del 2017 dell’Accademia Valdarnese del Poggio di Montevarchi; da questa bibliografia sono riprese le notizie storiche di questo articolo.

 Fra i motivi che stimolarono dopo l’anno Mille la fondazione dei monasteri da parte delle potenti famiglie feudali, oltre quello religioso vi era quello economico e l’opportunità di avere un controllo capillare del territorio attraverso l’appoggio del potere ecclesiastico, i cui vertici erano nominati dagli stessi nobili e in questo contesto storico nasce il monastero di Gastra   per iniziativa dei conti da Soffena. Questa nobile famiglia che aveva il suo centro di potere nella zona in cui verrà edificato nel XIII secolo la terra nuova di Castelfranco di Sopra, nel 1008 offre all’abate del monastero di Santa Trinita in Alpe una quota delle terre di proprietà nella zona di Gastra, per la costruzione in quel luogo di un oratorio che pochi anni dopo sarà trasformato in cenobio sotto la giurisdizione di quell’abbazia. Da tener presente che vicino al castello di Soffena, e che sparì probabilmente perché coinvolto in un movimento franoso, vi era dedicato a San Salvatore il monastero benedettino di Soffena di cui non è noto il nome del fondatore e l’anno di fondazione, dipendente anch’esso dall’abbazia di Santa Trinita in Alpe; il monastero di Soffena fu uno dei primi cenobi che aderì ai Vallombrosani.

Avendo il monastero di Gastra un proprio abate perché aveva lo status di abbazia e quindi  per essere chiamata tale vi doveva essere   un  numero di monaci che non potevano essere meno di dodici, con un certo  patrimonio  di beni, in una posizione strategica lungo  una   via dell’Alpe che si immetteva   sul crinale nella via di Montagna,  si pensa che abbia goduto di  misurata  floridezza  religiosa, forse persino  economica anche se non dovevano essere prodotti grossi redditi in quanto il monastero di Gastra non risulta nel Libro di Montaperti nel 1260. Nel volume di G. Manneschi “Notizie storiche sul comune di Loro Ciuffenna”, del 1921 e recentemente ristampato, si legge che al monastero di San Bartolomeo a Gastra fu donata la chiesa (già abbazia) di Sant’Andrea a Loro, insieme ai suoi beni. Inoltre, nel versante casentinese vicino ai Bagni di Cetica esisteva, nel luogo chiamato oggi Badia, l’antico spedale di San Romolo alle Pratole   vallombrosano, ad una giornata di cammino da Gastra, che accoglieva i pellegrini che percorrevano la via di crinale o   valicavano il Pratomagno. La presenza nel versante valdarnese dell’abbazia di Gastra e in quello casentinese di Badia alle Pratole, incentivava sicuramente i traffici e i commerci. Non è sbagliato pensare che i rapporti con l’abbazia di Soffena siano stati stretti e continui per il fatto di essere le due abbazie appartenenti allo stesso ordine e abbastanza vicine geograficamente. Noi del CAI Valdarno Superiore  quei sentieri li conosciamo bene perché percorsi tante volte e con sicurezza possiamo confermare che da Soffena a Gastra, passando per Quercioli, Pulicciano, evitando Monti e percorrendo il costone del Poggio agli Incisi, immettendosi nella stradella di Gastra presso la confluenza del borro dell’Inferno con il Resco e proseguendo fino al casone, occorrono tre ore e mezza superando un dislivello in salita  poco oltre i 600 m; questo è un percorso molto antico   con diversi  tratti in cui è evidente l’arcaico  ciottolato medievale. Inoltre si può ipotizzare che quando Soffena passò ai vallombrosani, poco prima della fine del secolo XI, sia passata a quest’ordine anche l’abbazia di San Bartolomeo a Gastra. Quello fu un periodo turbolento per gli ordini religiosi, che si ritrovarono sovente in netta contrapposizione fra loro con conflitti interni alla chiesa e sospetti reciproci di eresia.

Con la fine del XIII secolo e la fondazione delle terre nuove fiorentine, il baricentro sociale, politico ed economico si sposta nel fondovalle e inizia il periodo di decadenza per gli insediamenti dell’alta collina e della montagna. Nel caso specifico l’abbandono del castello di Castiglion della Corte sul Poggio della Regina è indicativo del declino di quel territorio, che ha come conseguenza la fine della prosperità del monastero di Gastra, in quanto la storia di un cenobio è strettamente legata alle vicende della contrada dove opera. Monsignor Raspini riporta che fra i secoli XIII e XIV, essendo diminuito molto il numero dei monaci il monastero perse il titolo di abbazia e venne ridotto a prioria e i monaci rimanenti lasciarono Gastra per Soffena. Il patrimonio dell’abbazia di Gastra non seguì i monaci a Soffena, ma fu dato ad una chiesa di recente costruzione che è quella di San Pietro, ubicata ad un angolo della piazza principale all’interno di Castelfranco di Sopra. Nell’articolo delle Memorie Valdarnesi (2017) Silvia Malduri riporta “Dalla seconda metà del Trecento il priore di San Bartolomeo a Gastra si identificherà con il rettore della chiesa di San Pietro a Castelfranco e nelle carte sarà indicato alternativamente sia con il titolo di priore, sia con quello di abate o abate commendatario, sia con quello di rettore “.

 Quando la chiesa di San Pietro, che non fu mai parrocchia, fu sconsacrata nel 1786, i beni di San Bartolomeo a Gastra erano già stati trasferiti da pochi anni alla parrocchiale di San Tommaso di Castelfranco di Sopra

 L’edificio del monastero di San Bartolomeo a Gastra, una volta abbandonato dai monaci, sicuramente fu convertito per usi agricoli e abitato da alcune famiglie di contadini, mentre la chiesa appartenente alla parrocchia di Sant’Andrea a Pulicciano continuò ad essere officiata e visitata nelle visite pastorali; Sempre nelle Memorie Valdarnesi del 2017 sono riportati  cronologicamente tutti i resoconti delle ispezioni della diocesi  durante i secoli successivi, da cui si ha una visione delle condizioni fisiche  della costruzione  e degli arredi  sacri e paramenti , mentre i terreni della prioria erano concessi a livello. Da un inventario dei beni di fine secolo XVIII   si trova citata sul campanile una piccola campana di circa 45 libbre (20 Kg). Nell’ultima ispezione del 1779 di cui il vescovo di Fiesole incaricava il priore di San Martino a Pontifogno apprendiamo che a Gastra vivevano due famiglie che ebbero premura di avvisare il vescovo che, data la distanza di Gastra con Pulicciano o con Menzano, non potevano andare alla S. Messa né mandare i figli alla dottrina e quindi chiedevano un prete.

Nella vita a Gastra nel XVIII secolo ne parla anche Monsignor Raspini in “Castelfranco di Sopra. Appunti di storia religiosa” (Servizio Editoriale Fiesolano 1966) che qui riporto fedelmente “… L’edificio dell’antico monastero, nella quale si trovava ancora una cappella, sarà per secoli residenza di poche famiglie costrette a strappare alla boscaglia e ai “pianelli “circostanti quanto bastava alla pura sopravvivenza. Sembrerà strano, ma ancora nel 1708 negli Stati d’Anime risulta registrato un popolo di San Bartolomeo a Gastra con una popolazione di 29 anime ed un prete che vi fa regolare servizio; gli abitanti scendono a soli 12 nel 1714, ma dopo il 1718 non si trova più menzionato questo popolo. Si può ipotizzare perciò in quegli anni la soppressione della parrocchia mentre è certa una continuità insediativa fino alla metà del nostro secolo (XX) quando ancora, ne fa fede la memoria dei nostri vecchi, i ragazzi (fra cui Giovannino di Natale) scendevano ogni mattina, tempo permettendo da Gastra per frequentare le scuole delle suore a Casa Formica, sopra Piandiscò, e venivano additati ad esempio dagli altri ragazzi meno svelti nel recarsi a scuola”.

Sempre su Gastra, il castefranchese Ugo Dei nel libro del 1924 “La Badia a Soffena presso Castelfranco di Sopra” scrive “La chiesa e l’eremo, esposti alle bufere e all’intemperie senza l’amorose cure dei monaci, cedettero presto all’opera distruggitrice del tempo, che ridusse tutto in un cumolo di rovine. Oggi il ricercatore affannoso che vi giunge dopo aver superato la ripida mulattiera, non prova che il piacere di godere di una delle più belle vedute del nostro industre Valdarno e di assaporare un po’ della quiete alta e solenne che vi regna, sbiadita immagine di quella pace che vi trovavano i remoti abitatori in mezzo alle più grandi privazioni e alle più dure discipline.”

Effettivamente Gastra è stata abitata da due famiglie coloniche fino alla fine degli anni ‘ 50  del secolo scorso e sono ricordate ancora le battiture di metà agosto ,mentre la festa per la ricorrenza di San Bartolomeo con cadenza annuale  fu  celebrata   fino alla fine degli anni Trenta  del Novecento e spesso   con grande concorso di popolo ( avevo un vicino di casa, a suo tempo mezzadro al Praticino, che r spesso rammentava questa festa  a cui lui partecipava sistematicamente   fino alla seconda guerra mondiale) . La storia e l’esistenza di questa abbazia  era attestata solo da fonti scritte, oggi c’è anche una fonte materiale in quanto sappiamo che esiste in una collezione privata una lapide un po’ scheggiata ma molto bella , la cui foto è riportata nell’articolo di Silvia Malduri,  dove si descrive    in maniera   chiara e leggibile  una concessione a livello per linea mascolina  dei beni della Prioria di Gastra al signor Raffaello de’ Medici dal priore di Gastra Monsignor Mario Borghi; la lapide è datata  XV  Maggio MDCXXVIII. La famiglia Medici, che prese a livello quelle terre, potrebbe aver costruito la fontana barocca presente sul muro alla fine della strada prima del caseggiato.

 Per ovviare alla malandata mulattiera che per secoli aveva visto passare diretti a Gastra e sulla montagna del Pratomagno uomini e muli, la proprietà di Casamora decise la costruzione di una strada carrozzabile che è quella attuale. Come descrive Antonio Sordi, questo collegamento viario fu edificato   superando grandi difficoltà fra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, comprensivo     di tre solidi ponti in pietra che attraversano: il primo il borro di Cavigliaia e gli altri due il torrente Resco.  I lavori dovettero essere interrotti vicino alla meta per un banco di roccia insuperabile, tanto che fu deciso di arrivare a   Gastra facendo un varco provvisorio adatto per il passaggio di animali da soma e tregge. I lavori ripresero durante la Grande Guerra con l’apporto di prigionieri ungheresi portati a Casamora, un ricordo ricco di spunti di solidarietà e amicizia, rimasto a lungo nella memoria della gente del posto.

Non conosciamo l’anno in cui la chiesa di San Bartolomeo a Gastra fu sconsacrata e cessò di esistere come luogo di culto derivante dall’antica abbazia. Sicuramente prima l’edifico monastico e molto tempo dopo, forse   a metà del secolo XIX, anche la chiesetta    vennero convertiti per usi agricoli, abitati da alcune famiglie di coloni, doveva sorgere nel punto dove oggi si trova il casone in pietra costruito all’inizio del Novecento dalla fattoria di Casamora. Di questa costruzione  ne parla  Antonio Sordi  evidenziando che  vi lavorarono  quindici scalpellini  provenienti da Pietrapiana e Reggello, che prendevano le pietre da una cava lungo il borro del Pisciolo, affluente del Resco  e che, non essendo finita ancora la parte terminale della strada , dovevano portare con le tregge la rena cavata nel torrente, la calce fatta in una fornace al Praticino e i mattoni  della fornace ubicata a Casa Polveriera ( dove oltre ai mattoni, anticamente veniva preparata la polvere da sparo). Di ristrutturazione e ampliamento nel lato nord del casone di Gastra ne parla anche Monsignor Giuseppe Raspini nel suo libro “Castelfranco di Sopra. Appunti di storia religiosa”.

A Gastra per circa vent’anni, fino ai primi anni ‘90 del secolo scorso, hanno trascorso periodi durante l’estate migliaia di ragazzi delle parrocchie del Valdarno   per iniziativa dell’Oratorio di San Giovanni Valdarno, che vi aveva costruito un campeggio estivo con tante strutture abitative in legno lungo il sentiero della Pecoreccia, servizi, una vecchia capanna era stata trasformata in chiesetta e costruito un campo sportivo riportato anche sulla carta 1.25000 Ecv Toscana. Tutta la montagna venne valorizzata e io ricordo un pranzo fatto al piano terra del caseggiato, in quello che erano state stalle e magazzini, di essere rimasto impressionato dalla bellezza del soffitto a crociera rivestito di pianelle, un’opera edilizia veramente mirabile, come un capolavoro lapideo erano pure le sporgenze in pietra del tetto. Poi venne l’abbandono perché i ragazzi dell’oratorio dovettero trasferirsi altrove. Per iniziativa di un socio fondatore CAI, che in febbraio aveva partecipato ad un’escursione (nevosa) sul monte Massa Nera (m1073) dominante Reggello, fu indicata al dirigente dell’Oratorio Prospero Prosperi la località di Cascina Vecchia, dove ancora oggi, dopo oltre trent’anni vi è il campeggio estivo.

Nell estate 1944, durante una riunione avvenuta il 7 luglio al Varco di Gastra (m1393) venne allora ritenuto opportuno unificare la Brigata Partigiana Lanciotto e le altre Brigate operanti verso Firenze nella Divisione Arno con comandante Aligi Barducci (Potente). Quasi tutta la Brigata Lanciotto abbandonò, divisa in due scaglioni, il Pratomagno congiungendosi dopo un difficile strategico attraversamento del Valdarno, alla Brigata Sinigaglia nella zona di Montescalari e partecipando infine alla liberazione di Firenze. Il ruolo che aveva avuto la Brigata Lanciotto nella vallecola di Gastra fu preso così da un’altra formazione partigiana denominata Perseo Tricolore, che in seguito liberò Reggello e Piandiscò. Chi percorre la vallecola del Resco Simontano oltre alla segnaletica rosso bianca del CAI, troverà una segnaletica tricolore, indicante un itinerario ad anello   chiamato “Percorso della Memoria”. Questo percorso, percorribile in meno di  una giornata,  fu  realizzato dal CAI  intorno all’anno 2010 durante la presidenza di Mauro Brogi,  perché richiestoci  dal comune di Piandiscò  ancora non  unito territorialmente con quello di Castelfranco di Sopra, con lo scopo di non perdere memoria del periodo della Resistenza , collegando   i luoghi dove, durante il periodo dell’occupazione tedesca ,  vi erano   stati  consumati eccidi di partigiani e di civili  (voglio ricordare tutti questi Caduti,  e uno per tutti Don Bianco Cotoneschi  giovane parroco di Pulicciano, che insieme al sagrestano fu mitragliato a morte  senza motivo e solo per pura ferocia dai tedeschi  in ritirata). Questo itinerario è un percorso ad anello che da Piandiscò sale a Pulicciano e riscende, con un percorso diverso al punto di partenza.

Della villa di Casamora, scrive il nostro socio Bigi Lorenzo nel libro “50 Ville nel Valdarno Superiore. Un Patrimonio inatteso” (ASKA  2016 con la nostra sezione CAI). Nel libro si legge che “la villa rappresenta un esempio paradigmatico di villa-fattoria settecentesca, posta al centro di una vasta tenuta agricola che, per tutto l’Ottocento fu nella disponibilità della famiglia Fabbrini. Negli anni settanta dell’Ottocento gli eredi Fabbrini affidarono alcuni immobili della tenuta a Beniamino di Salomon Sadun, ricco ebreo fiorentino. In seguito, nel 1881 per l’esattezza, la famiglia Fabbrini vendette la villa a Francesco Budini, ricco imprenditore. Da questo momento, formatisi la famiglia Budini-Gattai, la proprietà della villa non cambierà fino al 1961”

I Budini-Gattai, proprietari a suo tempo di Casamora e di altre fattorie in Val di Chiana attuarono molti investimenti, sia nella villa che nell’azienda agricola, tanto che l’edificio prese negli anni a cavallo del ‘900 la forma che sostanzialmente mostra oggi. In considerazione dell’ attaccamento che i mezzadri avevano per la famiglia proprietaria dei loro poderi,   si tramandava fino a non molto tempo fa   il ricordo  di una  grande luminaria,  organizzata molto prima della seconda  guerra,  in una  rigida ma limpida  sera di  dicembre  fra la  neve alta   sulla vetta e sul  crinale dell’Uomo di Sasso   (m1537) con  numerosi fuochi  accesi    dai  mezzadri e operai  della  fattoria  per salutare un componente della famiglia Budini-Gattai,  che dopo il matrimonio transitava in treno per il Valdarno diretto a Roma  in  viaggio di nozze.  

 Negli anni ’50 nella fattoria di Casamora fu costruito un impianto industriale per realizzare dal mosto d’uva una spremuta chiamata in commercio “Uvada”. Ne parla nel suo libro Antonio Sordi, pubblicando anche la foto di una cassetta di legno con sopra la scritta del succo, tipo di cassetta che io ricordo perfettamente perché questo contenitore   rimase in circolazione a lungo per altri usi, in quanto qualche anno dopo l’impianto cessò di produrre. Questo impianto chimico/alimentare, finalizzato a bloccare la fermentazione del mosto di uva, era abbastanza complesso e a quel tempo fu   fra i migliori impianti del genere in Italia, tanto che io ho ritrovato il disegno e la spiegazione ben evidenziati in un libro di testo di Chimica Industriale di quel tempo (1963), in uso    presso l’ITI di Arezzo. Da un volume pubblicato nel 1990 con il titolo “Alberi e arbusti di notevole interesse della Provincia di Arezzo” edito dalla stessa Provincia e dall’allora Corpo Forestale dello Stato, si trova che all’interno del perimetro della villa /fattoria di Casamora vi sono tre alberi considerati monumentali: un corbezzolo, un cedro dell’Atlante e un leccio. Nel libro vi sono     foto e schede tecniche.

La segnaletica CAI    del sentiero N° 19 che dalla Setteponti porta al Varco di Gastra in circa 5 ore e un quarto di cammino per un dislivello appena superiore ai 1000 metri, fu effettuata dal CAI Valdarno Superiore già dai primi anni della Sottosezione e continua ancora, consapevoli dell’importanza che ha avuto questo vallecola nella storia del territorio nei secoli passati e che ancora conserva per gli appassionati di montagna.

Nb- La foto della casa di Gastra è una foto di molti anni fa ripresa da “Piandiscò, un borgo e la sua pieve” di Sassolini/Dezza. Le altre foto, dell’autore del testo, riprendono la vetta del Poggio della Regina dal Monteacuto e uno dei due ponti sul Resco della strada privata di Gastra.

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