Il programma “Terre Alte” della sez. CAI Valdarno Superiore interessa esclusivamente il territorio del massiccio montuoso del Pratomagno, che è una dorsale preappenninica originata dai corrugamenti geologici che hanno interessato la Toscana nel Miocene . La catena montuosa si estende per una trentina di Km, da nord verso sud, con una larghezza media di circa 10 Km, fra il Valdarno Superiore e il Casentino e interessa per gran parte la provincia di Arezzo e solo a nord la provincia di Firenze.
La dorsale si presenta come un grande contrafforte dell’Appennino che si stacca dalla catena principale del Monte Falco m.1658 e ne continua l’aspetto morfologico e la natura geologica, caratterizzata da una fascia superiore di cime ampie e tondeggianti, caratteristiche del paesaggio arenaceo appenninico, con aspetti ambientali di eccezionale valore e di notevole tipicità, e che si mantiene a quote elevate, fra i 1200 e i 1500 m s.l.m., raggiungendo i 1592 m. di altitudine nei pressi della Croce del Pratomagno.
La parte di crinale compresa fra il Passo della Consuma m 1060 e il Monte Secchiata m.1450 è ricoperta da belle foreste di conifere e di faggi; in quella ancora più a sud si estendono invece vaste praterie sommitali, di rilevante interesse panoramico e naturalistico che formano una fascia continua di circa 13 Km ( da qui il nome di Pratomagno).
Le valli laterali presentano un andamento piuttosto ripido nel versante valdarnese, sia pure senza vasti scoscendimenti o grosse rocce affioranti; un declivio più dolce hanno invece le pendici sul versante casentinese. In alto vi predominano boschi cedui di faggio, di cerro e di castagno e foreste resinose, a quote più basse predomina la roverella. Sotto l’aspetto naturalistico importantissima è la vasta foresta demaniale di Vallombrosa,che si estende per circa 2400 ha, a una quota compresa fra i 500 e i 1450 m s.l.m, piantata e curata per secoli dai frati benedettini-vallombrosani che hanno nel monastero qui ubicato la loro casa-madre.
Sulle pendici più basse della catena, soprattutto nel versante valdarnese che è molto più abitato, vi sono estese coltivazioni da viti e olivi. Ai piedi del massiccio montuoso, verso i 300/350m.di quota, in era preistorica si è formato uno stretto altipiano ondulato in corrispondenza della parte terminale dell’antico lago pliocenico. Tutta la zona è caratterizzata da un terreno formato da sabbie argillose e ciottoli, frastagliatissimo e franoso che ha risentito profondamente dell’erosione delle acque, assumendo delle forme assai pittoresche, chiamate Balze,ravvivate dal colore giallo delle rocce scoperte e dalla vegetazione che copre la cima delle piramidi e delle esili creste. Il fenomeno fu studiato da Leonardo da Vinci che lo riportò (secondo i critici d’arte) sullo sfondo della Gioconda e nella Sant’Anna esposte al Louvre e nella versione londinese della Vergine delle Rocce esposta alla National Gallery.
La zona fu abitata dagli Etruschi e dai Romani, seppure con scarsi insediamenti limitati ai bordi collinari. Nel periodo romano fu costruita la “Cassia Vetus” o “Via Clodia” ora strada dei “Setteponti” che univa Arezzo, Baccano, Fiesole e Firenze.
Essa seguiva, nel Valdarno Superiore, il tracciato della attuale strada pedemontana che unice Arezzo a Cascia di Reggello. Nell’alto medioevo il territorio vide gli scontri fra Goti e Bizantini, l’affermazione in tutta la zona dei Conti Guidi, fino all’acquisto della Repubblica Fiorentina sia con pacifici negoziati ma più spesso con aspre lotte prima contro i feudatari locali, fra i quali primeggiavano gli Umbertini, i Guidi, i Pazzi, gli Ubaldini, poi contro Arezzo. Nella zona numerose testimonianze storico- artistiche come le pievi romanico matildine di Gropina, Piandiscò, San Giustino e Cascia; paesi come Castelfranco di Sopra, Loro Ciuffenna, Castiglion Fibocchi, le piccole borgate montane, oggi ristrutturate e in parte ripopolate stanno a testimonire la storia, la vita e l’arte dei secoli trascorsi. Da sempre, il tracciato della strada provinciale dei Setteponti, ha costituito un confine netto fra due insediamenti molto differenti , quello pedemontano che gravita nel fondovalle e la zona collinare – montana che aveva nella parte montuosa il suo centro di interesse economico, abitativo e culturale .
Nel piano una economia agricola basata su estesi campi di grano, foraggi, allevamenti e grandi spaziose case leopoldine, in montagna invece la “civiltà del castagno” con nuclei abitativi costruiti in zone riparate dal vento e con buon soleggiamento,caratterizzati da piccole costruzioni in pietra di ridotta altezza, tetti di lastre e muri con netta prevalenza delle parti piene sulle vuote, piccole finestre rivolte prevalentemente ai quadranti favorevoli. Transumanza, tradizioni popolari rimaste vive nella zona fino agli anni ’50 del secolo scorso, mestieri come pastori, boscaioli, scalpellini, carbonai, artigiani del legno, una società dai ritmi lenti ma che aveva un intenso rapporto con il territorio, soprattutto con il bosco e con i grandi prati di crinale. Una rete di antichissimi sentieri collegava con percorsi a volte tortuosi tutti gli insediamenti collinari e montani, statuti medievali regolavano la vita della gente di montagna nei rapporti fra gli stessi componenti, imponendo la manutenzione alle mulattiere, ai ponti, le opere per la difesa del territorio dalle avversità atmosferiche, le feste, la solidarietà reciproca, ecc..
Poi la crisi, la rottura del modello economico dell’autoconsumo, l’attrazione della società industriale urbana, la contaminazione (nel bene e nel male) con nuove suggestioni culturali, l’emigrazione via via permanente e senza ritorno, l’abbandono… Ma se nella nostra montagna la “civiltà del castagno” è fuggita da un pezzo e un ciclo plurisecolare si è concluso, non può non capitare di mettere a fuoco, accanto alla struttura fisica più evidente (monti, fiumi, boschi) quelli che apparentemente sembrano dettagli e cioè i “segni” lasciati dall’uomo nel corso del tempo. E i segni dell’uomo sono i resti dei poderi, le incisioni sulle rocce, i resti di castelli su dirupi quasi inaccessibili; sono i nuclei rurali, grumi di case che si sostengono le une con le altre in luoghi impervi, le mulattiere, i muri di sostegno ai terrazzamenti di un terreno strappato alla montagna e reso fertile; sono i vecchi molini, i piccoli cimiteri, le chiese, i dimenticati monumenti ai caduti di tutte le guerre, le maestà sparse ovunque e ovunque presenti; sono le strutture semplici delle case, i materiali usati per costruirle, gli ampliamenti disordinati delle generazioni susseguenti, le case padronali… I segni dell’uomo costituiscono tutta quella trama, più o meno fitta che si sovrappone , integrandola e modificandola, alla struttura fisica del territorio e che origina quel tessuto che si suol chiamare “paesaggio”. D’altra parte la conoscenza del territorio è necessaria.
Cogliere il significato di questi “segni” che testimoniano del modello di vita, del modo di costruire, e degli schemi sociali economici e culturali della società che è vissuta in quel luogo e che gli ha prodotti, è importante anche per la società di oggi condizionata dalle caratteristiche del territorio, dalla sua capacità di gestirlo, dalla sua storia. Vannini Vannetto