La Treggia

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La treggia, un antico mezzo di trasporto indispensabile nella nostra montagna

 Prima dell’avvento sistematico del trattore, intorno agli anni ‘70 del secolo scorso, il mezzo di trasporto tradizionale per tutti gli agricoltori, anche quelli che avevano l’attività   sopra e sotto la Setteponti, era il carro agricolo tirato dai buoi di razza chianina, animali di grande forza che venivano impiegati nei lavori dei campi per arare e coltrare. Nei poderi di montagna a causa della morfologia accidentata del territorio, caratterizzata da stretti appezzamenti di terreni a terrazze (pianelli) a cui si accedeva per tortuose mulattiere era impossibile usare il carro con i buoi; fra l’altro nei poderi del Pratomagno molti agricoltori non avevano buoi e lavoravano la terra con una sola bestia, vacca o cavallo. Proprio nei poderi sopra Setteponti era allora indispensabile usare come mezzo di trasporto la “treggia”. Questa, a differenza del carro agricolo che per essere costruito   voleva l’opera del fabbro e del falegname, essendo un manufatto molto semplice, era fabbricata dallo stesso agricoltore.  La treggia veniva usava anche in certi poderi ai piedi delle balze, dove la conformazione fisico-geologica del terreno, soprattutto d’inverno con il fango, limitava l’uso del carro agricolo. Proprio ai piedi delle balze, in prossimità del fondovalle, si trova il paese della Treggiaia, frazione del comune di Terranuova Bracciolini a qualche centinaio di metri dal confine con il comune di Castelfranco di Sopra, che sicuramente deve l’etimologia proprio alla parola “treggia”.  Con la treggia si evitava di percorrere strade di una certa rilevanza, al contrario dei carri agricoli che fra l’altro, nel periodo fra le due guerre, erano dotati di un numero di riconoscimento depositato in comune, di catarifrangenti e di una targa con   nome del podere o della fattoria proprietaria del mezzo.

  La treggia è un manufatto antico, antecedente al carro e nato agli albori della civiltà. Veniva usato anche dagli antichi romani, infatti il dizionario di latino Castiglioni‐Mariotti riporta: treggia=trahea- ae, femminile. Con certezza possiamo dire allora che la parola “treggia” deriva dal verbo latino trahere =trascinare. Lo strumento in questione era un rudimentale carro a traino animale che ogni contadino costruiva in base alle proprie esigenze; in genere era costituita da una doppia stanga formata da due pertiche parallele molto lunghe per consentire nella parte del traino l’attacco ad un cavallo, mulo o asino, al quale era affidato il compito di trascinarla. Nella parte finale erano fissati dei regoli o assi di legno che univano le due stanghe in modo trasversale, così da potervi appoggiare i prodotti che venivano trasportati (fieno, fascine, letame, paglia). La parte terminale posteriore della treggia strisciava direttamente sul terreno generando molto attrito che consumava velocemente il legno, per evitare questo venivano applicate due piccole ruote di ferro lenticolari imperniate rozzamente su un asse di legno; altre tregge invece delle ruote portavano applicata sotto la parte posteriore di ciascuna stanga una slitta di legno rivestita esternamente di metallo. A causa del forte attrito su terreno difficile e spesso sassoso, la treggia era traballante, pur essendo robusta e di semplice fattura alcune parti necessitavano di una manutenzione quasi continua. Il passaggio di una treggia era avvertito molto bene anche da lontano, perché provocava rumore continuo e cigolii, sicuramente è per questa ragione che il termine “treggia” viene ancora oggi usato come termine di paragone quando si vede passare sulla strada un mezzo di trasporto rumoroso e scassato. Vi erano tregge più articolate, sempre formate nella parte posteriore da due pertiche unite ma per il tiro avevano una sola pertica, alla quale veniva attaccata una coppia di bestie, ma questo tipo di treggia era molto raro e usato solo in zone dove la morfologia del terreno permetteva il passaggio di bestie accoppiate.  In Casentino venne ricordata per molti anni la treggia particolare su cui era stata fissata una poltrona, che permetteva ad Eleonora Duse di stare comoda quando andava al castello di Romena a far visita a   Gabriele D’Annunzio, che aveva messo la propria dimora in una tenda nella piazza d’armi del castello di Romena.

Per migliorare il trasporto i contadini potevano applicare nella parte posteriore della treggia un grosso cestone di vimini o canne, chiamato “civea”, nome probabilmente derivato dal latino “sic veho” = così trasporto, porto, tiro.  La treggia è stata un mezzo di trasporto universale   usato da tutti i popoli del mondo, nella nostra montagna in uso fino ad ieri, in quanto   oltre al basto del mulo, è stata l’unico mezzo di trasporto possibile.

 Ci voleva l’avvento del trattore o della ruspa per segnare il tramonto di questo veicolo agricolo-montanaro, pervenutoci dall’antichità più remota.

(Foto tratta da Wikipedia)

                                                                                                                      Vannetto Vannini

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