L’ antico spedale di San Romolo alle Pratole

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Fra il territorio valdarnese  e il Casentino, nella parte Nord del Pratomagno, fin dai secoli più remoti  tre mulattiere attraversavano e attraversano ancora la catena montuosa  ai fianchi e sulla vetta  dell’ Uomo di Sasso per  unire le due vallate. CatturaNel versante casentinese le tre vie di comunicazione partenti dal Valdarno  confluivano tutte a Cetica; quella che oggi viene chiamata “ vecchia via reggellese”, ma anticamente anche “via del vino” e “via dell’olio”, partendo da Reggello m. 400  attraversava la montagna al Varco di Reggello m 1346 e proseguiva per Cetica m. 700 lungo quello che oggi è il sentiero CAI 16 nel versante valdarnese e 29 A in quello casentinese, il fatto che venisse chiamata via del vino o dell’olio, rende bene l’idea di una certa intensità di traffico commerciale; la via sulla dorsale del Monte Acuto 1131 m. e Poggio Castelluccio 1386 m., oggi sentiero CAI 17, portava nei pressi della vetta del monte Uomo di Sasso 1532 m. e scendeva ai Bagni di Cetica m 1147 per poi arrivare a Cetica nel percorso ripreso oggi dal sentiero CAI 29; la via che partendo nei pressi di Piandiscò saliva al Varco di Gastra m. 1393, ora sentiero CAI 19 e scendeva a Cetica seguendo nella parte finale il corso del torrente Solano, oggi sentiero CAI 54. La zona era quindi molto frequentata e proprio su questa ultima direttrice fu costruito, a quota 913 s.l.m. sulle pendici orientali del Pratomagno di Cetica, dai monaci della abbazia vallombrosana di San Fedele di Strumi (Poppi) uno spedale per pellegrini con annesso oratorio; il complesso era chiamato “spedale di San Romolo alle Pratora o Pratole” (San Romolus in Pratis) e rimase sempre dipendente dalla abbazia di San Fedele. Da notare che a poca distanza dallo spedale ci sono i Bagni di Cetica che sono intitolati sempre a San Romolo,  martire e vescovo di Fiesole che qui apparve a San Romualdo e a San Giovanni Gualberto. L’ubicazione dello spedale non era casuale, in quanto a Gastra m.913 nel versante valdarnese, esisteva già un romitorio che poi diventò monastero benedettino; distante una giornata di cammino e dedicato a San Bartolomeo il monastero di Gastra facilitava il pernottamento di chi attraversava nei due sensi la catena montuosa.  Non sappiamo quando lo Spedale delle Pratora fu costruito, è menzionato per la prima volta  del 1262  dall’abate di San Fedele che lo ricorda come luogo pieno di conversi vallombrosani ( i conversi sono i religiosi laici),  al priore di San Fedele a Strumi toccava la nomina del responsabile dell’ospedale, detto anche spedalingo o castaldo.Cattura1

Lo spedale delle Pratora veniva chiamata anche “spedale dei poveri”,  in quanto oltre a permettere la sosta ai viaggiatori che transitavano da quella zona, permetteva l’accoglienza continua anche a persone senza mezzi di sostentamento e anziani senza nessuna famiglia.

Lo spedale attraverso contratti, ma soprattutto attraverso lasciti testamentari di persone devote acquisì con il tempo numerosi appezzamenti di terreno da coltivare, boschi e selve per le castagne. La terra di proprietà veniva coltivata dai conversi e le rendite ottenute dovevano essere tutte spese per la conduzione dello spedale, per le spese delle persone che ne facevano parte e che erano accolte e per il mantenimento degli edifici che dovevano essere numerosi in quanto il complesso era costituito dai locali di accoglienza, le stanze dei conversi e la chiesa con il campanile; sappiamo che nel 1428 la rendita dello spedale ammontava a 50 fiorini e che annualmente doveva pagare un tributo annuo all’Abbazia di San Fedele  che era costituito nel 1474 da due maiali grassi, mentre l’abate di San Fedele doveva recarsi allo spedale per la festa di San Romolo il 6 Luglio e dirvi la messa.

Il 1538 fu un anno importante per lo spedale perchè l’abate delle Pratora, Don Benedetto Arpinacci, di li a poco ottenne un breve  pontificio (lettera) in cui venivano estesi alla Badia delle Pratora tutti i privilegi concessi agli altri monasteri vallombrosani. Il periodo di tempo in cui fu abate  B. Arpinacci dovette essere un lasso di tempo proficuo per la Badia alle Pratora, in quanto l’abate doveva disporre di rendite cospicue se, come riportato  in un manoscritto  presente nella Biblioteca Rilliana di Poppi, si viene a conoscenza che l’abate ogni anno versava 27 staia di grano alla Abbazia  di San Fedele, spendendo poi 200 scudi in tre anni per fabbricare nel 1549 la nuova “Camera dell’Abate “ ( un appartamento di oltre 100 mq)  sempre nella Abbazia di San Fedele.

La Badia alle Pratora non ebbe però vita lunga in quanto già nel 1559, l’abate in carica fu trasferito in un monastero di Forlì e porto con se il “breve”, trasferendo  tutti i privilegi avuti  alla Badia alle Pratora, la quale badia fu unita con tutti i suoi beni alla abbazia di San Fedele  e trasformata in romitorio.

L’inverno del 1634 fu tremendo per la neve e il freddo e l’11 Dicembre una nevicata eccezionale fece crollare i tetti della chiesa e delle case senza però fare vittime. I restauri cominciarono l’anno successivo, ma    essendo la badia  situata “in loco deserto, alpestri, horrido, et nimis frigoris asperitate subpositum, temporum iniuria dirutum”, il 3 Gennaio 1644  fu abbandonata.

Tutti gli edifici dell’antico spedale furono trasformati in un complesso colonico (stalle, magazzini, seccatoio e casa rurale) in quanto vi erano sempre i castagneti da curare e i terreni coltivabili, che però in gran parte erano già stati dati in affitto anche molti anni addietro.

Fino a metà del 1700 fu continuata la tradizione della festa in onore di San Romolo per il giorno 6 Luglio e in questa occasione l’abate di San Fedele  di Poppi si recava alla Pratora per celebrare la messa. Questa festa era molto sentita dalla popolazione e vi era grande partecipazione di popolo soprattutto da Cetica. Ma poiché i partecipanti ballavano, giocavano e cantavano, la festa fu abolita dal vescovo di Fiesole, mantenendo però la regola di celebrare solo la messa. Nel frattempo furono portati avanti lavori di restauro soprattutto al campanile che fu abbassato e consolidato il tetto della chiesa, ma nel 1777 dopo un sopralluogo dell’abate di San Fedele che trovò la chiesa in pessimo stato, fu deciso di lasciare cadere  tutto eccetto  la casa colonica che fu abbandonata nel secolo scorso.badia alle pratole 1

Oggi dell’antico spedale  della badia  rimane solo qualche rudere sommerso dalla  vegetazione, un toponimo (la Badia) nella carta topografica, e i ricordi popolari che si tramandano  nel tempo.

Il territorio nei dintorni della Badia è interessante per i castagneti da frutto, per la rinata coltivazione delle “patate rosse di Cetica” e per la presenza di una pianta di melo che gli agronomi hanno stimato avere una età di cento anni, ma che non hanno potuto definire la cultivar. Essendo questo melo di una specie sconosciuta l’ho hanno chiamato: Melo sine nomine (senza nome) di Badia alle Pratole. La scheda di questo tipo di melo, unico in Casentino è riportata nel libro “ Le antiche varietà di fruttiferi del Casentino” edito dalla Regione Toscana e dalla Comunità Montana del Casentino  per il “recupero, caratterizzazione e valorizzazione delle risorse genetiche autoctone di interesse agroalimentare”.badia alle prtaole 5

                                                                                                            Foto e testo di Vannetto Vannini

 

Le notizie storiche in questo post del CAI/Terre Alte sono riprese dall’articolo  di Marco Porcinai pubblicato  nel n° 59  della  rivista semestrale  della Diocesi di Fiesole  “Corrispondenza”.

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