La forte crescita economica avvenuta in Italia dopo gli anni Cinquanta, anche a causa della ricostruzione del dopoguerra, se determinò nel fondovalle e a quote superiori come lungo la Setteponti la crisi della mezzadria, nei borghi del Pratomagno dove questo tipo di conduzione agricola era inesistente, portò comunque al collasso una società che si fondava su regole e ritmi provenienti dai secoli passati, in cui il trasporto era ancora basato sulla forza animale di asini e muli e tutto era organizzato in funzione di queste bestie le quali, da sempre, venivano considerate un piccolo patrimonio indispensabile. Anche se le condizioni di vita erano povere, durissime ma sempre dignitose e fino a non molto tempo fa scandite dai ritmi della transumanza e dall’emigrazione stagionale, nella nostra montagna ogni piccolo paese rappresentava un microcosmo di vita socio-culturale ed economica ben collaudata attraverso i secoli. In ogni borgo montano c’era un alto tasso di autosufficienza perché era presente la bottega dove si vendeva di tutto, che fungeva anche da ritrovo sociale, il mugnaio, il falegname, il fabbro, il calzolaio, il vetturino. Questi facevano fronte alla domanda locale di gran parte dei generi d’uso più comuni, le persone raramente si spostavano dal paese poiché si viaggiava solo per necessità, e in diversi paesi era presente la scuola elementare pluriclasse. C’erano gli antichi mestieri, esercitati spesso nei boschi e la domenica, giorno del riposo settimanale, l’avvenimento principale era partecipare con la famiglia alla Santa Messa nella piccola chiesa paesana e nel pomeriggio bere un quartino di vino con gli amici. Fin dall’immediato secondo dopoguerra non tutte le frazioni della montagna lorese avevano il parroco, ma dove c’era (Modine, Poggio di Loro, Trappola, Faeto, Querceto) la chiesa esercitava ancora una forte autorità morale. Di questo tipo di società arcaica, oltre che il ricordo rimangono testimonianze di civiltà le piccole casette in pietra costruite una a ridosso dell’altra, numerosi seccatoi, qualche abbeveratoio all’ingresso dei paesi e gli anelli metallici murati al piano terra di diverse abitazioni usati per legarvi asini e muli. Nella montagna sopra ai paesi, all’interno dei boschi, sono tantissime e ben riconoscibili le piazzole o piazze dove veniva costruita la carbonaia.

L’emigrazione nel fondovalle, diventata nel frattempo un problema nazionale perché comune a tutte le montagne italiane, portò allo spopolamento di gran parte dei paesi del Pratomagno. Lo Stato italiano cercò di contrastare questo fenomeno fin dall’immediato secondo dopoguerra con leggi e provvedimenti ad hoc per i comuni montani stanziando fondi per il rimboschimento, elettrificazioni, acquedotti, rettifica strade vecchie e costruzione di strade nuove creando così posti di lavoro, fu istituita la Festa della Montagna; ebbero la qualifica “comuni montani “tutti quelli che avevano l’80% della superficie totale ad una quota superiore a 600 metri. Questa politica andò ancora avanti con l’istituzione nel 1970 dell’ordinamento regionale che portò nel 1971 alla creazione delle Comunità Montane. Nella nostra montagna furono rettificate e rese rotabili le ultime rimanenti strade di collegamento, nel 1961 con Anciolina e nel 1974 con Rocca Ricciarda, così che tutti i paesi del Pratomagno lorese furono allacciati con la Setteponti. Con la meccanizzazione civile arrivò nelle borgate montane anche la meccanizzazione agricolo- forestale e lentamente furono dismessi asini e muli che servivano i primi soprattutto per il trasporto di persone e piccoli carichi, i muli invece usati quasi esclusivamente per trasporto a soma di carichi notevoli; finì così un lavoro storico ma arcaico e da sempre indispensabile che veniva svolto dai cosiddetti “vetturini”, ma anche “vetturali”, i quali guidavano i muli che trasportavano , nel nostro caso, merci e non persone; una professione antica come l’uomo.
La parola “vetturino” deriva dal vocabolo “vettura” in latino vectura ed è strettamente legata nel Pratomagno e in altre montagne al trasporto a soma soprattutto di legna e carbone, poche volte al trasporto di castagne secche in quanto questi produttori erano in possesso loro stessi per lo meno di un asino o mulo. La parola “soma”, con cui si indica un tipo di trasporto basato sulla posizione del peso equilibrato sulla schiena dell’asino ma soprattutto del mulo, deriva da un’ antica capacità di misura per liquidi e aridi che variava da 50 a 150 kg; nella nostra montagna una soma di carbone , legna o castagne pesava circa 70 kg, due some il doppio distribuite e bilanciate molto bene nei fianchi destro e sinistro del mulo ed era il peso massimo che poteva trasportare l’animale, da considerare poi che il solo basto pesava alcune decine e più di kg. Nel trasporto del carbone una soma era una balla di juta di misura standard, piena e chiusa con il randolo (pezzo di legno), sotto misure della soma era la mezzaballa, il terzone e il culaccio. I vetturini, che potevano avere anche uno o più aiutanti (garzoni), erano proprietari di diversi muli, ma anche di qualche asino e cavallo. Il mulo è un ibrido, comunemente detto “bastardo” ottenuto dall’incrocio fra un asino e una cavalla, non prolifica, generalmente docile con un fisico forte più dell’asino ma meno del cavallo, a differenza però del cavallo è un animale molto più rustico che sopporta bene senza malattie fatiche, disagi, freddo e maltempo; dall’ incrocio invece fra cavallo è asina viene il bardotto, più piccolo del mulo ma sempre più forte dell’asino. Nelle nostre zone la compravendita di muli e asini avveniva fino agli anni ’60 del secolo scorso anche alla fiera a Terranuova Bracciolini, ma soprattutto durante la fiera al Monte (Monte San Savino). Il mestiere del vetturino era abbastanza complicato dal punto di vista logistico/operativo in quanto il lavoro era sempre in montagna e spesso durava diversi giorni, lontano dai paesi e allora il vetturino doveva fare riferimento a delle strutture fisse a pagamento con sorgente vicina, che lui conosceva per farvi trascorrere la notte agli animali in pieno riposo e satolli bene, doveva conoscere a perfezione le abitudini delle proprie bestie, i possibili difetti e prevenire le eventuali malattie anche se rare a tutto il corpo, con frequenza maggiore alle unghie. Quando si trasferiva nel posto di lavoro, uno o più muli portavano a soma la quantità di fieno e di biada (avena, orzo, fave) che il vetturino stimava potesse bastare per dare da mangiare agli animali durante il periodo di lavoro nel bosco. Il vetturino, per pratica, sapeva come trattare i suoi muli e ricavare da loro il massimo rendimento, consapevole che se la bestia era trattata bene e con rispetto questa rispondeva bene, in sintesi si creava un rapporto di fiducia reciproco e di intesa fra il conducente e l’animale; è per questa ragione che cambiare un vecchio conducente con uno nuovo era sempre un problema e questo immancabilmente succedeva al tempo della leva militare nei reparti alpini creando qualche problema. Fra l’altro il mulo riconosce benissimo all’odore il conducente e, a differenza dell’asino, si affezione a chi lo guida, ma è abbastanza permaloso e vendicativo se trattato male per cui durante il lavoro va sempre affiancato perché se calcia, calcia davanti e dietro e spesso calcia con ambedue le gambe, sia quelle anteriori che posteriori. Il vetturino non lasciava il comando dei suoi muli a nessuno ed era responsabile del carico dall’inizio alla fine del percorso, in casi rari poteva lasciare il comando solo a qualcuno dei suoi aiutanti di cui si fidava e accettati bene dalle bestie, durante il carico a soma sopraintendeva all’operazione coadiuvato per la legna dal boscaiolo, per il carbone dal carbonaio e dal meo e quello che diceva era legge per tutti, il carico era effettuato con un certo sistema collaudato nel tempo.

In genere, durante il percorso, che vedeva i muli in fila indiana sia in andata e di ritorno, con il carico o senza, il vetturino procedeva in testa sopra a un cavallo o un asino o mulo e teneva in pugno la fune che lo legava alla prima bestia, ogni mulo era poi legato al successivo e chiudeva la fila il mulo più forte e allo stesso tempo più docile. Nelle discese ripide affrontate con il carico a soma, il vetturino fermava la fila, scioglieva gli animali e questi, uno per volta, affrontavano la discesa con il conducente dietro che faceva da freno con una corda; superato il punto difficile veniva riformata la fila . Se un mulo si “puntava” e bloccava tutti gli altri, il conducente doveva capire perché l’animale si era fermato e cercare di convincerlo a ripartire con pazienza, dolcezza e professionalità, mai con violenza. Il mulo è un animale privo di vertigini e quando procede nel sentiero preferisce camminare sul ciglio anche in presenza di profondi dirupi; di questa tendenza il vetturino ne teneva sempre conto con continui riassestamenti della fila delle bestie nel centro della mulattiera. Nel trasporto del carbone, poiché la produzione finiva per legge il 30 giugno (nella storia del CAI Valdarno Superiore c’è la visione di una fumante carbonaia nei pressi di Rocca Ricciarda nella seconda storica escursione la domenica 7 giugno 1987), poiché il bosco era in vegetazione, ai muli veniva applicata una larga rete nel muso che gli permetteva di bere ma non mangiare i nuovi germogli. Oltre che a soma il legname veniva portato dal mulo anche a strascico, quando si trattava di tronchi per ricavarne travi. Per il lavoro a strascico era più indicato il cavallo che ha più forza e quando il sentiero lo permetteva venivano appaiati anche due muli. Ogni mulo o asino aveva un nome e così era registrato con data di nascita e indirizzo presso le autorità competenti in quanto questi animali potevano essere precettati per motivi militari, questo fino quasi alla fine del secolo passato
Le occasioni di lavoro in montagna erano soprattutto per il trasporto legna e carbone e non sempre richiedevano il lavoro di tutti i muli in possesso del vetturino, per cui questi stabiliva sempre una certa rotazione. Durante la tagliatura di un bosco, i muli portavano la legna dal luogo del taglio all’imposto. L’imposto era un piazzale fuori dal bosco e in posizione strategica dove venivano scaricati i muli. Se non era disponibile uno spiazzo comodo nelle strade di comunicazione nei pressi dei paesi o direttamente sulla Setteponti, il commerciante di legna o carbone si faceva carico di affittare per l’occasione un campo adiacente alla strada, campo che fungeva da imposto. Dall’imposto la legna o il carbone ripartivano per i paesi sempre a dorso di altri muli o più spesso sopra ai barocci tirati dai cavalli, poi con il tempo anche camion e trattori. Il termine “imposto” è diventato un toponimo comune anche oggi nella nostra montagna indicante un punto preciso di una strada, in alcuni imposti della Setteponti sono nate delle botteghe e poi anche alcune case. La parola “imposto” potrebbe derivare dal vocabolo latino Impostus = alla fine, essendo la parte terminale del ciclo di raccolta carbone o legna; ma più verosimilmente potrebbe derivare dal verbo latino impositum che sta a significare sovrapporre, porre sopra, scaricare, imbarcare. Per il trasporto del carbone i muli erano impiegati per portare le some dalla carbonaia all’ imposto dove operava l’impostino, una figura professionale facente parte della squadra che si prendeva cura delle balle di carbone che venivano scaricate e che partivano pesate poco dopo a destinazione su altri muli o barocci.
D’ indole un po’ solitaria e scontrosa, abituato a parlare più con le bestie che con le persone, il vetturino, anche se spesso imprecava era generalmente abbastanza religioso, devotissimo a Sant’Antonio Abate di cui aveva sempre un santino nel portafoglio e spesso un’immagine incollata al basto del primo e dell’ultimo mulo della fila. Esistevano vetturini sia in montagna che sulla Setteponti, ricordato ancora oggi quello di San Clemente, di Persignano, della Trappola, di Piandiscò e di Cetica; nel secondo dopoguerra, quando questo mestiere finì, alcuni vetturini della Setteponti dismisero muli e cavalli e diventarono trasportatori con vecchi camion, soprattutto militari, dismessi dall’esercito alleato.
È un mestiere completamento finito? Nel Pratomagno valdarnese sì, ma in altre zone come nel Mugello e nella parte romagnola del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi continua ancora. In provincia di Perugia, a Fratticciola Selvatica, tutti gli anni nel mese di luglio viene organizzata con successo di pubblico e interesse l’esposizione dei muli e cavalli da soma, la manifestazione è arrivata alla 42 esima edizione. Alcuni anni fa, durante un’escursione del martedì, trovammo diversi muli ancora a riposo (giganteschi come quelli dell’Artiglieria Alpina da dove penso provenissero) nel Chianti, fra Badia a Montemuro e Volpaia, sempre nello stesso punto dove ne avevamo trovati altri in una escursione di domenica tanti anni prima, evidentemente c’era stata una continuazione di attività in quelle zone boscose, difficili e isolate. Tornando nel 2015 da un’escursione sul monte Terminillo, nei pressi di Labro in provincia di Rieti ma al confine con quella di Terni, su un grande slargo della strada carrozzabile che fungeva da imposto vedemmo arrivare dal bosco un vetturino sopra al cavallo seguito da una lunga fila di muli carichi di legna di faggio, e sempre alla fine dell’imposto una montagna di legna che veniva caricata su un autotreno. Durante un’escursione con amici Cai nel Parco del Monte Cucco, oltrepassato da poco il paese di Scheggia (PG) ci fermammo per lasciare passare un giovane vetturino, a piedi ma conducente otto muli. Qualche mese dopo, sempre nel 2017, andando sulla vetta del monte Catria, dopo Badia di Sitria e già nelle Marche, trovammo un’altrettanto giovane vetturino che guidava un gruppo di cinque muli. Ci fermammo, con il permesso del conducente accarezzammo le bestie mantenendosi rigidamente di lato e parlammo con il vetturino il quale ci disse che nei territori protetti come parchi nazionali, regionali, naturali non danno più il permesso di costruire strade per portare con mezzi meccanici la legna tagliata agli imposti, per cui in zone dove non ci sono stradelle ma solo sentieri e viene fatto periodicamente il taglio del bosco, la legna viene portata giù con il vecchio sistema dei muli e il mestiere di vetturino è ancora attuale.
Il mondo va avanti e la tecnologia è sempre più raffinata, ma in certe zone di montagna il tempo sembra passare più lentamente e chi lavora allo “smacchio” per la legna, un prodotto sempre più richiesto dal mercato, oltre ai mezzi meccanici deve ancora in parte fare riferimento al paziente, forte, intelligente, instancabile, dignitoso mulo, che è tutt’altro che un “bastardo”.
Un lavoro arcaico terminato nel Pratomagno valdarnese con la fine della civiltà del castagno, frammenti di anni lontani quando l’esistenza in montagna era scandita dal ritmo del lavoro nel bosco, che richiedeva spesso sapiente maestria all’interno di quella cultura montanara piena di sacrificio, fatica, amore per gli animali con i quali veniva condivisa gran parte della vita.
Vannetto Vannini
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