Da sempre, il nostro Pratomagno durante l’estate ha visto pascolare nel proprio territorio branchi consistenti di cavalli e mucche, ma soprattutto fino al secondo dopoguerra migliaia e migliaia di pecore, sia nel versante valdarnese ma particolarmente in quello casentinese che morfologicamente è molto più dolce e quindi più adatto a questa attività. La stessa prateria sommitale è stata ricavata nei secoli passati dai pastori, estirpando gli arbusti e gli alberi con il fuoco per aumentare la dimensione del pascolo. Come in tutte le montagne l’alpeggio estivo, chiamato anche “monticazione”, dal punto di vista legislativo era ed è ancora molto complesso, con regole rigidissime che tutte le Comunità dovevano far rispettare per evitare sconfinamenti, numero eccessivo di animali, salvaguardia dei germogli, regole di comportamento… Storicamente sappiamo della lite a suon di bastonate avvenuta nel 1737 nei pressi di quella che oggi è la capanna Buiti per diritti di pascolo fra i pastori di Garliano e quelli di Raggiolo, oltre alle continue liti fra i frati della Badia di Santa Trinita in Alpe con i pastori di Capraia e Pontenano che furono uno dei motivi per cui fu chiusa la celebre badia, anche se ormai in avanzato stato di crisi per mancanza di vocazioni religiose ma ancora sempre proprietaria di numerosi beni terrieri e immobili. L’alpeggio estivo, sia in Pratomagno che in altre montagne aveva e ha grosso modo una data di inizio (San Giovanni: 24 giugno) e di fine (San Michele: 21 settembre).
Fino all’avvento in Toscana dei Lorena, i proprietari dei pascoli alti del Pratomagno erano soprattutto l’abbazia di Vallombrosa che aveva un numero sterminato di pecore, quella di Santa Trinita in Alpe, le varie Comunità casentinesi e valdarnesi che avevano ereditato le proprietà nel corso del tempo, soprattutto in seguito alla cacciata dei Conti Guidi nel XV secolo e proprietari privati come il Barone Ricasoli, i Tassi, i Cassi, le varie chiese e altri. Era consuetudine che le Comunità dessero in affitto per il pascolo alcune zone prative al miglior offerente dopo un’asta (a Loro Ciuffenna le aste venivano battute sotto le logge), altre zone delle varie Comunità erano vincolate dagli usi civici che permettevano solo alla popolazione di quella Comunità il diritto di pascolo per poche pecore, qualche maiale e mucca (quasi mai per le capre), prendere la legna secca, le ghiande e altri frutti del bosco.
Con la fine dei Medici e l’arrivo dei Lorena, furono alienati e messi all’asta nelle seconda metà del Settecento i beni degli enti religiosi e quelli vincolati dagli usi civici, che passarono a proprietari privati che li usarono a proprio servizio e in parte in affitto.
Nel Pratomagno vi era un certo numero di strutture idonee per l’alpeggio estivo in linea con le malghe alpine: nel versante valdarnese si ricorda la casetta del Chiappino a quota 1222 m. ai Pratacci sopra Rocca Ricciarda, Casa Pratopiano m.1045 sopra Reggello e quelle più vaste e articolate come Case Sant’Antonio a m.938 nella foresta di Sant’Antonio , Cascina Vecchia a m. 1013 nella foresta di Vallombrosa e Gastra, a m. 909 sotto l’omonimo varco di crinale nella comunità di Castelfranco di Sopra, anticamente sede della Badia di San Bartolomeo. A determinare l’ubicazione dell’edificio o degli edifici di una malga rispetto alla superficie e alla conformazione del pascolo contribuiva anzitutto la morfologia del terreno, perché vicino alla malga è indispensabile un’estensione pianeggiante (prato) per riunire il bestiame, la disponibilità di alberi sparsi per la legna da ardere, una sorgente o un corso d’acqua per diversi usi, umani e animali. Nel periodo della vita in alpeggio, tutta la famiglia veniva coinvolta; agli uomini spettavano i lavori più pesanti, alle donne e alle persone anziane spettava la cura della trasformazione del latte, la cucina, l’orto e la ricerca della legna fine per fare fuoco.
Casa Pratopiano è oggi una struttura fatiscente e abbandonata ma che ancora resiste all’usura del tempo e degli agenti atmosferici ed è una via di mezzo fra una malga e una normale abitazione, ed è riportata anche nella nuova cartina CAI del Pratomagno. Ritengo comunque pericoloso entrarvi a causa di possibili crolli. Il toponimo Pratopiano è relativo alla conformazione morfologica del terreno che ha creato un pascolo abbastanza piano all’interno di una bellissima foresta di faggi. Nei dintorni vi sono altri toponimi quali Pratomolle, Prato di Dietro, Prato Marcaccio, Prato Macone che rendono bene l’idea di un pezzo di montagna ideale per l’alpeggio estivo. Questa malga non è molto antica in quanto non riportata nel catasto lorenese del 1821, opera cartografica di grande valore, molto precisa e particolareggiata. In considerazione dell’architettura la costruzione può essere verosimilmente della seconda metà dell’Ottocento o inizio secolo XX. Isolata ma strategica è poi la posizione in montagna di casa Pratopiano in un territorio delimitato fra due importanti e storiche vie di comunicazione con il Casentino, che sono il percorso di valico che porta da Reggello all’eremo di Ponticelli fin sulla vetta dell’Uomo di Sasso e oggi sentiero CAI 17, e dall’altra l’importantissima via di valico da Reggello all’omonimo varco e poi al Casentino chiamata una volta “via maestra casentinese” e oggi sentiero CAI 16; in questa seconda strada esistono ancora pezzi di selciato medievale integri. Dalla casa o malga, scendendo per sentiero a valle si arriva per crinale sulla vetta di Monte Fantoccio (m. 1002) che divide la vallecola del borro Traianella con la valle del Resco reggellese, un ambiente difficile e aspro tanto che nel luglio 1944 in quella zona vi era il comando della formazione partigiana Perseo Tricolore, un’unità formata quasi interamente da ex militari che liberò Reggello e Piandiscò e arrivò fino a Piantravigne.
I dintorni di Pratopiano, oltre che essere vocati al pascolo d’alpeggio erano molto frequentati dai carbonai e a testimonianza di questo lavoro vi sono numerose piazze dove venivano accese le carbonaie. Le strutture abitative per l’alpeggio estivo erano abitazioni temporanee costruite in genere su un solo livello e costituite da un unico grande locale, usato sia per la notte che durante il giorno. Importante era la stanzetta con finestra, molto spesso separata da tende mobili, dove si stagionava il formaggio; in alcune malghe il locale adibito a passare la notte era situato invece su una costruzione attigua e i letti erano chiamati “rapazzole” e consistevano in pertiche di legno sopraelevate dal terreno, posizionate in modo da potervi distendere delle frasche con sopra alcune balle di juta ripiene di foglie di castagno che fungevano da materasso. Se la vita nelle abitazioni permanenti era dura, quella di alpeggio era molto più severa in quanto i mezzi a disposizione erano molti meno e ancora più spartani e implicava, come nel caso di Pratopiano, un totale isolamento dal fondovalle, raggiungibile solo per sentiero dopo alcune ore di cammino a piedi o sul dorso dell’asino.
La casa o malga Pratopiano è invece costruita per permettersi alcune comodità, prima di tutto un certo spazio per lavorare e per vivere. Appena sopra vi è una sorgente di acqua, riportata anche nella carta 1:25000 dell’IGM, indispensabile per la lavorazione del latte; sfruttando la morfologia del terreno la casa si sviluppa su due livelli con l’ingresso in cucina rialzato rispetto ai locali a pianterreno. Costruita interamente in pietra ha il tetto in lastre di arenaria e uno dei pochi tetti di quel tipo ancora abbastanza integri rimasti nella nostra montagna, testimonianza importante della tecnica costruttiva dell’antica civiltà montanara. Entrando in cucina dove veniva lavorato il latte, il locale è lungo quanto la parete laterale e vi si trova subito a sinistra dell’ingresso un grande focolare e più avanti un lavandino e la finestra a ovest sulla parete di facciata per prendere gli ultimi raggi del sole. La cucina è in comunicazione con un’altra stanza adibita sicuramente per dormire durante la notte. Sotto vi sono due locali comunicanti, il più ampio destinato al ricovero delle pecore in caso di maltempo e per la mungitura, operazione questa che se il tempo era buono veniva praticata per comodità all’esterno; c’era poi un altro locale più piccolo, chiamato comunemente “la caciaia” dove si teneva il formaggio a seccare e stagionare, interessante nella caciaia una finestra con robusta grata metallica per far passare di continuo un flusso di aria in sicurezza. Caratteristica ai piedi di un monumentale faggio una grande pietra dove di certo veniva lavorata la ricotta, questo particolare è comune a molte malghe appenniniche e alpine. Per vivere in malga, la famiglia si cibava di prodotti dell’orto ma soprattutto di polenta di mais e di castagne fatta nel paiolo e mescolata con ricotta e raviggiolo che sono prodotti molto deperibili e anche formaggio, nel periodo di malga il pane di grano era cosa rara perché occorreva la madia, il forno, tanta legna e molto tempo. Malga o casa Pratopiano era situata in quella parte di montagna che apparteneva al popolo o parrocchia di Pontifogno, dove vi è stato il parroco per alcuni decenni nel secondo dopoguerra e lungo la strada una grande bottega-bar di generi alimentari aperta fino a trent’anni fa.
Antico massicciato della Via Maestra Casentinese (sentiero CAI 16)
Da Pratopiano, periodicamente partiva a piedi una persona per i paesi gravitanti intorno a Reggello che accompagnava l’asino o il mulo carico soprattutto di formaggio prodotto in alpeggio, trasportato a soma dall’animale in recipienti appositi di stoffa e cuoio; al ritorno invece l’animale trasportava quei beni indispensabili comprati in paese per continuare la vita di malga. Una cosa essenziale era il sale da cucina, soprattutto quello in grosse scaglie detto sale grosso che serviva per fare il formaggio e periodicamente messo nella mangiatoia delle bestie.
Oggi malga o casa Pratopiano è un punto di riferimento importante per il trekking, bellissimi prati in un altrettanto bellissima foresta di faggi e dove prima d’estate pascolavano le pecore ora passano gli escursionisti. Questa malga rappresenta una delle memorie storiche della montagna, ed è la testimonianza di un passato vissuto attivamente dall’uomo a contatto con l’ambiente dei monti, il ricordo di un’identità di un mondo legato a gesti, ritmi e tradizioni ataviche. La civiltà dell’antico alpeggio è ancora rimasta integra a Pratopiano nella suggestione del luogo, nelle pareti di pietra e nel tetto di lose che ancora resistono agli agenti atmosferici e al logorio del tempo.
Foto e testo di Vannetto Vannini
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