Testo e foto di Vannetto Vannini
Il versante ovest del Monte Cocollo (quello che sovrasta la Setteponti) è sempre stato alle varie quote altimetriche ricchissimo di sorgenti, d’altra parte non poteva essere diversamente, visto che sulla vetta vi fu costruito nel Medioevo un paese fortificato e nei dintorni tante piccole borgate molto abitate. Fra le sorgenti più frequentate nel tempo passato vi era quella della Lecceta nei pressi di Malvavecchia (m 370) e quella dei Macchioni a quota 710 m, a breve distanza dal ramo sorgentifero di sinistra del borro di Malva che nasce sotto le Casacce, borro che poi confluisce presso il Madonnino di Persignano in quello delle Cave. Queste due sorgenti, che ancora oggi esistono, sono benissimo indicate senza nome nella carta militare 1:25000 IGMI, nella carta dei sentieri del Pratomagno (CAI 1996) ma non nella nuova carta CAI del 2021.
Oggi gli antichi sentieri che portavano alla fonte dei Macchioni sono molto problematici perché invasi dalla vegetazione che, come dice il toponimo, doveva caratterizzare anche una volta quel territorio. L’acqua della sorgente dei Macchioni è stata captata e con il trascorrere del tempo passano nell’oblio vecchi ricordi di tradizioni popolari che fanno parte della storia, anche recente, dei paesi interessati della Setteponti. La fonte, con un potente getto di acqua in tutte le stagioni e d’estate con una temperatura freddissima che qualche volta spaccava i bicchieri, era presa come termine di paragone dai residenti della zona, quando nel confronto si voleva fare riferimento a una qualsiasi bevanda gelida.
Nell’antico reticolo viario del versante ovest della montagna, la fonte dei Macchioni era collocata in posizione strategica in quanto da quella sorgente partivano alcune mulattiere per diverse direzioni. Era un punto strategico di riposo per le donne di Malva e Persignano che ogni due settimane passavano in gruppo la mattina a fare il pesante fastello di scope per “scaldare a pane” il forno e poi tornavano al paese, per i cacciatori, per chi andava a tagliare l’erica per fare ramazze, per i cercatori di funghi, per tutti coloro che praticavano per motivi diversi quella zona. Era usanza fino al tracollo della mezzadria nel secondo dopoguerra, tornati a rivivere la propria vita dopo le paure del periodo bellico, nel paese di Persignano-Malva formare nella tarda primavera, estate e primo autunno, comitive di giovani e ragazze e partire la domenica mattina dopo la prima Santa Messa per la fonte dei Macchioni. In queste iniziative della gioventù paesana vi era, oltre lo scopo di stare insieme socializzando fra ragazzi e ragazze, fare una bella scampagnata all’aria aperta gustando poi un pranzo al sacco con vino tenuto in fresco sotto la fonte e fare bevute con l’acqua fredda della stessa fonte che era considerata leggerissima e salutare e dove veniva sciolta un po’ di magnesia per renderla frizzante e più gustosa. Non mancava mai qualche strumento a fiato come il clarinetto perché molti giovani facevano parte della locale Filarmonica, e poiché davanti alla fonte c’era spazio, era spesso improvvisato qualche ballo con le canzoni d’epoca, tanto che si diceva allora a Persignano che ai Macchioni oltre che bere, si ballava e ci si innamorava.
Era l’esuberanza di una gioventù che avanti guerra voleva vivere una giornata diversa, libera dagli opprimenti dettami della formalità e della politica e dopo guerra, rimasta oppressa dalla paura e dai pericoli degli eventi bellici, cercava un qualsiasi momento per divertirsi
Forse il ricordo più bello della fonte dei Macchioni ma che si sta perdendo scomparsi i protagonisti è quello delle “salaccate” e delle poesie in ottava rima, che avevano luogo alla sorgente il primo giorno di Quaresima, in quel mercoledì detto proprio “giorno della salacca”. Il giorno della salacca è ancora festeggiato soprattutto lungo la riva destra dell’Arno a San Giovanni Valdarno, ma fino a metà del secolo scorso era ricordato in tutti i paesi. Terminato il tempo di carnevale, a mezzanotte fra la fine del martedì e l’inizio del mercoledì, in tutti i campanili suonava molto a lungo una campana, che ricordava al popolo l’inizio della Quaresima, periodo di penitenza e di preparazione spirituale per la Santa Pasqua. Ricordo benissimo il suono di quella campana a Persignano spesso frammisto al suono un po’diverso della campana di Piantravigne che era più potente, una tradizione che da noi è finita negli anni ’70 del secolo scorso, un suono lungo, per alcuni versi tormentoso e cupo che squarciava l’oscurità e l’aria della notte segnando l’inizio del mercoledì delle Ceneri e quindi del periodo quaresimale. In quel primo giorno occorreva astenersi dal mangiare carne (questo esiste ancora oggi nelle famiglie di fede cattolica), quindi la salacca che è un pesce con la testa conservato sotto sale un po’ più grande di un’acciuga, pesce tipicamente povero e quindi acquistabile anche dai meno abbienti, diventava ideale per quel giorno e per tutto il periodo della Quaresima.
Era tradizione a Persignano-Malva nel giorno della salacca, essendo la popolazione soprattutto agricola, lasciare il lavoro e partire la mattina a piedi dal paese per arrivare dopo due ore di marcia, superando oltre 400 metri di dislivello, alla fonte dei Macchioni dove si mangiavano le salacche e si beveva per penitenza solo l’acqua di quella fonte. La sorgente spesso era raggiunta per lo stesso motivo anche da altre persone prevenienti da Querceto, Odina, Vignale, Oliveto e dai casolari sparsi come Leonia, Casaratta, Valcello e allora appariva anche qualche fiasco di vino. Questa tradizione, che doveva essere antichissima, si è mantenuta fino agli immediati anni del secondo dopoguerra.
La comitiva che partiva da Persignano-Malva era accompagnata dal prete, fino ai primi anni ‘30 del secolo scorso. Il parroco si chiamava Don Alamiro Tassini ed era considerato dalla sua gente un religioso austero ma bravo e un benefattore della parrocchia di cui fu priore dal 1901 al 1940. Era il parroco che aveva aiutato materialmente e moralmente le numerose famiglie della zona colpite dai lutti della grande guerra, aveva lavorato insieme ad un monsignore del paese (Monsignor Piazzesi) per costituire a Persignano il convento delle suore mantellate di Santa Giuliana, attivo fino al 1963, che costituirono un convitto per ragazze e aiutavano le famiglie bisognose della parrocchia. Inoltre Don Alamiro era un grande studioso di autori classici e fu per diverso tempo presidente della banda filarmonica di Persignano, apportò alcune modifiche alla chiesa in piena armonia con l’architettura settecentesca e ingrandì la canonica.
Partecipare alla salacca con il gruppo guidato da Don Alamiro era, a detta di tutti, veramente una penitenza in quanto oltre a dover bere acqua di sorgente dopo aver mangiato pesce salato, durante il percorso da Persignano alla fonte occorreva rimanere concentrati nel recitare più volte il rosario e tutte le litanie; nonostante questo la partecipazione rimase sempre altissima. Passata la giornata insieme in un clima piacevole di amicizia paesana, divertiti anche dalle rime che si scambiavano i poeti in ottava rima riferite soprattutto ai rapporti d’interesse intercorrenti fra fattori ladri, sottofattori cattivi e contadini scaltri, dove l’ironia e le metafore erano tante, nel primo pomeriggio, quando il sole cominciava a calare dietro i monti del Chianti, la comitiva senza altre preghiere tornava al paese. Durante il percorso di ritorno veniva fatta una sosta al podere Malvavecchia, dove una volta c’era l’antico paese e la chiesa di San Lorenzo a Malba, suffraganea della Pieve di Gropina. Questo podere apparteneva e ancora oggi appartiene alla chiesa di Persignano e il contadino che era il mezzadro del parroco preparava a spese della chiesa una modesta merenda a base di pane, olio, picce di fichi secchi, mele neste e francesche, acqua della sorgente Lecceta ma anche qualche fiasco di vino e alla fine a tutti era concesso un vinsantino da messa.
Don Alamiro era un prete attento anche alla modernità e agli sviluppi della tecnica, tanto che fu il primo parroco di quel tratto di Setteponti a motorizzarsi, acquistando un’automobile già alcuni anni dopo la fine della grande guerra. Iniziò con una Citroen che i suoi parrocchiani chiamavano “la sitroenne del sor’ priore” ma poco dopo acquistò una berlina Fiat 501 verde oliva. Non fu un grande autista anche perché condizionato dalla viabilità di quel tempo che aveva strade molto strette (la strada che da Persignano porta a San Giovanni Valdarno era larga la metà di quella attuale) e la Setteponti più stretta e piena di brutte curve. Incontrare un carro agricolo pieno di fieno, paglia e manne di grano che prendeva tutta la strada e dover fare marcia indietro con l’auto perché le bestie non possono fare quella manovra, era una cosa quasi impossibile per quel prete, inoltre ancora oggi nel tratto di strada che porta dal bivio del convento alla piazza del paese esiste uno spigolo smussato chiamato eloquentemente fino a poco tempo fa “cantonata del prete”. Spesso quando doveva andare in diocesi ad Arezzo si faceva accompagnare da un componente di una delle due famiglie mezzadrili della chiesa. Poi dalla Fiat 501 passò alla Balilla 508 “che turbinava polvere”, ed è così che Don Alamiro viene descritto da Luciano Landi in un bell’ articolo dal titolo “Persignano: un villaggio per una Filarmonica” pubblicato a pag. 486 nella Storia del Valdarno (Landi Editore 1981). Don Alamiro si spense nel maggio 1940 e per suo volere volle essere sepolto, come riporta l’articolo del Landi, esattamente davanti alla porta d’ ingresso del cimitero di Persignano, dove la grande lapide di marmo esiste ancora a ricordo di un parroco serio, austero, colto e benvoluto dalla popolazione tutta.
Oggi l’ antica fonte dei Macchioni non è persa, in gran parte l’acqua è stata incanalata per uso civile e il terreno intorno pieno di rovi e sterpaglie; è scomparso da data immemorabile il grande orto terrazzato del Cinana, un Vannini mio antenato di Vignale che faceva muovere il mulo Macallè al suono di un’armonica, un montanaro quasi artista di strada che metteva l’anima nei suoi estemporanei canti e duetti in ottava rima, tanto da essere ricordato per questo nell’articolo del Landi Luciano della Storia del Valdarno. Esiste però ancora, ma solo nel ricordo labile e sempre più sbiadito di pochi, il legame stretto fra quella fonte e le comunità montanare e contadine di un tempo perché con la trasformazione della società sono scomparse da tempo tradizioni vecchie di secoli, dove convivenza, spasso e amicizia, regole religiose, lavoro scandivano i giorni di questo piccolo mondo antico.
Questo articolo è inserito nel sito web www.caivaldarnosuperiore.it nella sezione Terre Alte nel comune di Loro Ciuffenna, perché geograficamente la fonte dei Macchioni è nel territorio di quel comune, mentre il paese di Persignano fa parte del comune di Terranuova Bracciolini, con la parrocchia distribuita fra i due comuni.