Molto probabilmente fino ad ora, non era stata messa a fuoco bene l’importanza che ha avuto nei primi secoli del Medio Evo la strada dei Sette Ponti come percorso di pellegrinaggio verso Roma.
Oggi, per ricerche e studi più approfonditi, l’importanza di questa strada si sta rivalutando e prende molta più consistenza. Sappiamo che la strada veniva chiamata Via Sancti Petri ( nome molto simile a Sette Ponti) e dopo lo sfascio del sistema viario romano, essendo l’Aurelia impraticabile in molti tratti, la Via Flaminia molto lontana per chi proveniva da Nord-Ovest, è da ritenere probabile che l’antica Via Cassia Clodia, oggi Sette Ponti, sia stata per molto tempo il percorso più trafficato per andare a Roma. È ritenuto sicuro e documentato il passaggio da questa strada di eserciti guidati da personaggi importanti come il re dei Franchi Pipino e soprattutto suo figlio Carlomagno. L’odierna strada dei Sette Ponti ricalca approssimativamente il tracciato dell’antica strada etrusca che collegava i due importanti centri di Arezzo con Fiesole, ( da Arezzo il collegamento continuava poi per le lucumonie etrusche di Cortona e Chiusi e quindi nel territorio del popolo umbro). Successivamente, nel II° secolo A. C. lo stesso percorso fu riutilizzato da una strada romana costruita dal console Lucio Cassio Ravilla per mantenere il collegamento fra Arezzo e Firenze sul lato destro dell’Arno (Cassia Vetus o Clodia). In seguito, l’imperatore Adriano nel 123 d.C. in conseguenza dell’importanza che aveva assunto la colonia Florentia nei confronti di Fiesole, per ottimizzare il percorso con Roma evitando Arezzo, costruì la nuova via Cassia, detta Cassia Adrianea, sulla parte sinistra del fiume. In seguito a questa nuova strada, la Cassia Vetus perse un po’ importanza rimanendo però determinante per i collegamenti trasversali sugli insediamenti abitativi esistenti sulle colline alla destra del fiume Arno. Nei successivi secoli la strada riprese importanza in quanto molto più percorribile del tracciato di fondo valle, perchè la Via dei Sette Ponti era stata costruita su terreno geologicamente stabile non soggetto ad allagamenti e impaludamenti. Nel periodo longobardo fu preferita per Roma la Via Francigena, ma il territorio, una volta costituitesi le diocesi di Fiesole e Arezzo fu in seguito interessato alla costruzione delle pievi romaniche che funzionarono da centri aggregativi per il successivo fenomeno dell’incastellamento, così’ sulle collinette a destra dell’Arno vengono costruiti gli insediamenti fortificati di Piantravigne, Persignano, Montemarciano, Ganghereto, Cicogna, Traiana, Campogialli, mentre in montagna prendono forma gli insediamenti di Poggio della Regina, Pulicciano, Cocollo, Trappola, Poggio di Loro, Rocca Ricciarda… Nonostante una perdita di importanza, dovuta alla nuova arteria di fondo valle in seguito alla costruzione delle “ Terre Nuove” fiorentine, quali i castelli di San Giovanni e Terranuova, la via dei Sette Ponti mantenne sempre un flusso di pellegrini e quindi erano necessari sistemazioni organizzate per offrire un tetto a coloro che si mettevano in viaggio per i centri religiosi. Sorsero così gli ospizi o spedali religiosi e laici, che furono strutture disseminate lungo tutta la Sette Ponti a Reggello, Canova, Castelfranco, Treggiaia, Persignano, Montemarciano, Loro, Montelungo, Ganghereto,Campogialli, Castiglion Fibocchi.
Cosa rimane oggi di queste strutture? Da fonti di archivio, soprattutto per quanto riguarda resoconti di visite ed ispezioni patrimoniali sappiamo il nome e molte volte la loro ubicazione dentro e fuori il castello, ma è soprattutto uno spedale di Montemarciano che ha lasciato impronte nella toponomastica locale, nelle tradizioni religiose e nella locazione del complesso ricettivo.
Il nome Montemarciano, come quello di Persignano, Pulicciano è un prediale romano, deriva cioè dal nome del possessore di un vasto fondo agricolo in epoca romana, in questo caso il possidente “Marcius”. Castello dei Pazzi come tutti gli altri castelli della zona, ne furono distrutte le fortificazioni dai fiorentini dopo la vittoria di Campaldino nel 1288 e passò sotto l’orbita di Firenze, tanto che le mura furono ricostruite poco dopo e di queste oggi rimane la torre con la porta, detta Porta Campana e un’altra porta, detta impropriamente “Porta Etrusca” dove fino al 1918 passava la strada che portava alle Cave. La chiesa parrocchiale, derivata dall’unione di due chiese, è intitolata a Sant’ Apollinare (santo bizantino) e a Santa Lucia. A quattrocento metri da questa porta, verso la montagna e distesa lungo la provinciale dei Sette Ponti che fa da confine comunale, c’è la località Madonna di Montemarciano dove sorge l’attuale Santuario della Madonna delle Grazie, e adiacente un vasto terreno abbastanza pianeggiante
Dobbiamo tenere presente che siamo ai limiti del comune di Terranuova Bracciolini e del comune di Loro Ciuffenna, tanto che il paese di Montemarciano è nel territorio di Terranuova B., la località Madonna di Montemarciano essendo di qua e di la della provinciale è compresa nei due comuni ed il santuario della Madonna delle Grazie è nel territorio di Loro Ciuffenna, come pure l’adiacente terreno pianeggiante dove era ubicato l’ospedale di San Michele. Poiché santuario e terreno dove era situato l’antico spedale (pur essendo nel comune di Loro Ciuffenna) fanno riferimento al paese, questo articolo nella sezione Terre Alte del nostro sito CAI, viene inserito insieme a quelli pubblicati nel comune di Terranuova Bracciolini.
L’ospedale di San Michele, dedicato al santo –guerriero molto venerato dai longobardi, è stato uno “spedale” attivo nei secoli XII – XIII – XIV ed era ubicato nel piano sopra la Setteponti, fra il santuario e il borro in direzione Montalto. Questo “spedale” ha lasciato come tracce un podere chiamato “podere Ospedale”, un torrente chiamato ancora “Borro dell’Ospedale”ma anche Borro di Rimaggio che nasce dal monte Cocollo e un ponte sulla provinciale, il primo verso Montalto, chiamato “ ponte dell’ospedale”, ma questo ultimo termine non è più in uso e conosciuto solo dalle persone anziane.
In una pubblicazione del 1991 della Bibblioteca di Terranuova Bracciolini intitolata “Il castello di Montemarciano in Valdarno” l’autore Luciano Caiani scrive sull’ Ospedale di San Michele Arcangelo a pag 24, riportando uno scritto integrale di un montemarcianese d.o.c. Valerio Scarperllini (1942-1989) mio grande amico perchè alpino paracadutista e con il quale ho passato tante avventure in montagna, a lui è intestato il nostro “Gruppo Alpini Valdarno Superiore” : “ L’ospedale di Montemarciano, si trovava in luogo selvoso e deserto e in seguito al calato fervore religioso, che non portava più le masse di pellegrini verso Roma e i luoghi santi, andò lentamente in disuso, finchè nel 1329 l’abate Niccolò intese rilanciarlo eleggendo rettore di questo spedale Umberto di Guiduccio.
Dieci anni dopo, ai XX Marzo 1339, Niccolò da Parma nominò rettore dell’ospedale di Montemarciano Ceccarino di Carbone della Treggiaia il quale promise solennemente di costruire ed edificare nella terra di detto ospedale una casa conveniente con due letti ben forniti per ricevere i poveri e di dare ogni anno all’abate, in segno di sudditanza, un paio di coltelli del valore di un fiorino d’oro.
Ma l’ospedale si trovava in un luogo sempre più isolato e arduo; il rettore non poteva abitarci e non poteva dare quindi nessun ricovero a poveri e pellegrini per cui dall’abate Guglielmo fu deciso di portarlo a Renaccio, vicino alla chiesa di San Silvestro, in considerazione del fatto che a Montemarciano esisteva già un altro ospedale dentro le mura del paese e questo accadeva intorno all’anno 1343”
L’abate a cui si fa riferimento nello scritto di Valerio è l’abate della Abbazia di Santa Mamma (Santa Maria), dipendente dalla abbazia di Nonantola (Modena); l’altro ospedale situato all’interno del paese di Montemarciano e citato nell’ultime righe del testo è l’ospedale di San Martino che fu soppresso con decreto granducale il 14 Luglio 1749.
Nell’espletamento delle proprie funzioni l’ospedale aveva costituito una Compagnia religiosa , detta Compagnia di San Michele. Questa Compagnia, a distanza di tanti secoli esiste ancora oggi con regole e insegne, recentemente è stata rivitalizzata (come le Compagnie di Persignano e Penna ) dall’attuale giovane parroco polacco Don Adalberto.
L’ospedale aveva anche una chiesetta, dedicata a San Michele; si presume che sia stata nel luogo dove ora è il santuario, anzi inglobata da questi. La chiesetta, dato il periodo della costruzione, è certo che doveva essere stata edificata nello stile romanico, quindi con l’altare principale e abside (se c’era) verso il sorgere del sole, di cui sfruttava la luce mattutina per illuminare l’ambiente per le prime messe. Il santuario attuale non è assolutamente orientato a Est, quindi non poteva avere inglobato la piccola chiesetta mantenendone la direzione. Nel frattempo, non molto fa qualche archeologo si è accorto che il materiale lapideo di cui è costituita la facciata davanti dove è l’ ingresso principale del santuario, non è confacente al periodo (1532) in cui fu realizzato il tempio nelle forme attuali, ma quella parete è più antica. È nata così la supposizione che quella che oggi è la facciata principale del santuario sia stata una delle pareti laterali della chiesetta di San Michele,in questa maniera quadra benissimo anche l’orientamento a levante della antica cappella dello spedale.
Parlando dell’attuale santuario, mi soffermo su un argomento che mi sta a cuore e che nell’arco della mia vita ne ho seguito tutte le vicende, sia per passione che per risonanza in quanto la mia abitazione dista dal santuario in questione poco più di tre km: l’attribuzione dell’affresco della Madonna delle Grazie a Masaccio adolescente, affresco dipinto in una maestà lungo la strada e poi inglobato dal santuario.
Fu il Conte Giovanni Magherini Graziani, proprietario della villa-fattoria di Poggitazzi, a qualche km di distanza da Montemarciano, che attribuì quel dipinto a Masaccio giovanissimo. Il Conte Giovanni Magherini Graziani (1852- 1924) fu veramente un personaggio, era il “Conte “ per antonomasia per tutti gli abitanti di quella zona di Sette Ponti e per le cinquanta famiglie mezzadrili della sua fattoria e fino a poco tempo fa, fra le persone più anziane di Malva e Persignano era ancora ricordato con rispetto. Il Conte fu un benefattore, istituì a Malva l’ufficio postale, a Persignano la Società di Mutuo Soccorso, sempre a Persignano costituì nel 1888 la Banda Musicale e il Corpo Volontario dei Pompieri intestato a Guglielmo Libri . Attento al progresso tecnico, dotò la propria fattoria di Poggitazzi di due macchine a vapore, una per battere il grano, l’altra per far girare una dinamo e sviluppare corrente, realizzò delle linee elettriche tanto che la zona di Malva, Montemarciano, Montalto, Poggitazzi e Piantarvigne fu la prima della Sette Ponti ad avere questo tipo di illuminazione che dopo la guerra del 1915-18 passò alla Selt- Valdarno. Ancora oggi, il locale dove veniva prodotta la corrente elettrica viene chiamato “la fabbrica”, l’edificio è quello in mattoni rossi situato prima della villa e, adibito a agriturismo è diviso in sei appartamenti che portano il nome di alcuni fra i migliori poderi della vecchia fattoria. Ma il Conte era un persona di una cultura vastissima, soprattutto nel campo dell’arte di cui era un critico fine e preparato, della storia e della letteratura e soprattutto era un grande collezionista di opere d’arte e d’antiquariato. Aveva scritto una monografia su Masaccio e Raffaello, una Storia di Città di Castello in tre volumi, e nel 1910 una serie di racconti popolari della vita e della campagna valdarnese, racconti che la casa editrice Servizio Editoriale Fiesolano ha ristampato circa 16 anni fa; aveva realizzato nell’ala della fattoria che oggi è adibita a convegni e allora chiamata “la galleria “ una vastissima raccolta di oggetti antichi e preziosi di antiquariato . Purtroppo durante il passaggio dell’ultima guerra, la villa-fattoria di Poggitazzi fu sede di un comando tedesco e della collezione rimase molto poco.
L’intuizione del “Conte” che la Madonna di Montemarciano fosse opera di Masaccio adolescente fu molto bene accetta dai maggiori critici d’arte di quel tempo, come il tedesco Augusto Scharsow, l’americano lituano Bernardo Berenson, l’italiani Pietro Toesca , Adolfo Venturi e l’olandese Van Merle. È innegabile che l’ipotesi del “Masaccio adolescente “ fatta dal Conte Giovanni Magherini Graziani non sia stata una “sparata” estemporanea di un personaggio interessato ad avere nelle sua zona un affresco di tale portata, ma fu motivata da una seria professionalità in materia, avvallata poi dal fior fiore dei migliori critici d’arte di quel periodo. Questa ipotesi resse fino agli anni ‘ 70 del secolo scorso, poi la critica si indirizzò verso il pittore fiorentino Francesco d’Antonio, molto amico di Masolino da Panicale che fu il maestro di Masaccio, e quindi legato alla scuola del grande pittore sangiovannese. Questa ultima attribuzione mandò su tutte le furie il parroco di allora che è stato l’ultimo parroco abitante nella canonica di Montemarciano: don Giuseppe Mugnaioli di Rapolano Terme, deceduto una quindicina di anni fa. Don Giuseppe era un parroco amatissimo non solo dai suoi parrocchiani ma da tutti gli abitanti della zona e nonostante l’aspetto un po’ dimesso di “prete di campagna” era un sacerdote preparatissimo, aveva una profonda cultura classica e umanistica , un appassionato d’arte alla quale dedicava parte del suo tempo, un grande tifoso della Fiorentina, ma soprattutto in fatto di sport era appassionato di ciclismo. Seguiva le corse di biciclette di tutte le categorie e per le grandi corse ciclistiche nazionali e europee don Giuseppe “stravedeva”, era un prete che spesso lo incontravamo con in mano il breviario insieme alla Gazzetta e al Corriere dello Sport e i suoi parrocchiani dicevano con orgoglio che “in fatto di ciclismo, Don Giuseppe avrebbe sbancato a Lascia o Raddoppia”. Per lui, come per il mio amico Valerio Scarpellini, l’affresco della Madonna delle Grazie, dipinto su una maestà lungo la strada e poi inglobato nella chiesa era e rimaneva di Masaccio adolescente.
Tanti e tanti anni fa, da giovanotto, ricordo bene di aver letto un articolo sul castello di Montemarciano apparso sul quotidiano “ la Nazione” di Firenze, uno scritto importante che memorizzai subito. L’autore di questo articolo diceva di avere scoperto l’anello di congiunzione che legava Masaccio adolescente a Montemarciano. Il giornalista scriveva che agli inizi del XV secolo castellano di Montemarciano era lo zio materno di Masaccio, quindi era più che presumibile pensare che il giovanetto Masaccio andasse a far visita allo zio e una volta poteva benissimo aver dato sfogo alla propria passione pittorica dipingendo una maestà lungo la strada.
Recentemente il santuario ha subito un grosso restauro di consolidamento di tutte le strutture ed è stato dotato di sistemi di allarme. Durante questa fase e subito dopo, la chiesa ha avuto in visita tanti studiosi e critici d’arte, uno dei quali famosissimo a livello internazionale e in queste visite ha ripreso fortemente quota l’ipotesi del” Masaccio adolescente: staremo a vedere! La critica d’arte è un “arte “difficilissima e a volte contraddittoria, basta ricordare le famose “teste di Modigliani” a Livorno, ma il ritorno in gioco della vecchia ipotesi formulata tanto tempo fa dal Conte Giovanni Magherini Graziani è certamente piaciuta a tanti abitanti del posto, e forse ha messo in agitazione….. nell’aldilà, sia Don Giuseppe che il mio amico alpino paracadutista Valerio.
Nota bene: per finire l’articolo si ricorda che notizie più estese sul castello di Montemarciano e sul Santuario della Madonna delle Grazie sono nel nostro sito CAI, sezione “il nostro territorio”nelle parti dedicate a castelli e pievi. Il libro “Pievi e castelli “ porta nella copertina la foto del Santuario della Madonna di Montemarciano. A Guglielmo Libri, al quale il Conte Giovanni Magherini Graziani intitolò il “Corpo Volontario dei Pompieri di Persignano,” è dedicato un articolo pubblicato sul nostro sito CAI, sezione Terre Alte, Valdarno, Terranuova Bracciolini, dal titolo “ Il conte Libri, ladro di libri”.
Testo e foto di Vannetto Vannini