Pratomagno lorese: l’antica usanza di “rifrugare o ruspare le olive” dopo la raccolta. Una tradizione in perfetta sintonia con l’economia povera della montagna

Le news Loro Ciuffenna Notizie

Foto e testi di Vannetto Vannini

Nel Pratomagno valdarnese con la varia morfologia dell’intero versante che va da nord a sud, la coltivazione della pianta di ulivo è   stata diffusa un po’ ovunque e compresa in quella fascia di territorio a terrazzamenti che inizia da poco sotto la Setteponti e arriva a quota 550/600 metri nella collina che poi diventa montagna. Nel versante esposto a sud ovest del monte Cocollo l’antica via di collegamento fra Oliveto (Loro Ciuffenna), Odina, Caspri, La Lama, Pulicciano, ha sempre delineato una demarcazione precisa per questa coltivazione, determinando ad altezze superiori solo il bosco ceduo e rari pianelli a grano, segale e soprattutto giaggiolo. Nel bacino montano del torrente Ciuffenna, che scende dal Pratomagno, un po’ chiuso ma climatizzato ancora dai venti benefici del mar Tirreno, la coltivazione dell’olivo arriva   fino alle quote di alcune frazioni montane. L’olio di oliva in questa zona di collina e montagna è sempre stato ritenuto una sostanza primaria, e come tale facente parte di quel trinomio popolare insieme a pane e   vino perché considerato elemento   insostituibile nell’alimentazione e nella cucina   locale, in quanto l’uso del lardo al posto dell’olio, anche in tempi lontani da noi, non ha mai attecchito.  Dell’olio come del maiale niente era buttato via, i residui del grasso animale mescolati alle   fondate rancide e grasse della pulizia degli orci da olio sono serviti fino al secondo dopoguerra a produrre, nelle dovute proporzioni con soda caustica e farina, un ottimo sapone usato sia nel bucato che contro le dermatiti

 Da considerare inoltre che nella fascia di territorio situato a monte nel tratto da Loro Ciuffenna e Castelfranco di Sopra, i rapporti fra gli abitanti   delle frazioni montane con quelli lungo la provinciale sono sempre stati intensi, sia per la pratica della transumanza che per il commercio di vari prodotti agricoli e del bosco, favoriti dal mercato settimanale del lunedì a Loro Ciuffenna. L’olio di oliva, a chi non poteva produrlo direttamente, arrivava dalla Setteponti in vari modi che includevano l’acquisto, il baratto con carbone e farina di castagne ma anche tramite un’antica usanza legata alle vecchie tradizioni locali che ebbe la massima diffusione negli anni intorno alla guerra 1915-18, usanza che è andata avanti   fino alla seconda guerra mondiale e poi   sempre più raramente fino alla fine degli anni ‘40 del secolo scorso. Questo lavoro, portato avanti in piccoli gruppi, che necessitava una certa organizzazione, consisteva di ripassare a battere e raccattare le poche olive residue rimaste nella pianta e in terra nei campi delle fattorie della Setteponti, dove il mezzadro aveva già eseguito il raccolto. Il sistema era chiamato “rifrugare le olive” mentre in altre zone della Toscana veniva chiamato “ruspare le olive” e coloro che facevano questo lavoro erano detti “rifrugatori o ruspaioli”. Un lavoro duro, lungo, noioso, che necessitava il trasferimento   per un certo tempo delle persone dalla frazione montana ai poderi sulla Setteponti, ma che permetteva a fine ciclo di portare a casa diverse decine di kg di olio di oliva di mediocre qualità, che bastava tutto l’anno per la necessità della famiglia. Un’attività simile veniva fatta anche per le castagne e chiamata nella stessa maniera, mentre per il grano il termine era “spigolare”. Questo lavoro veniva effettuato anche dagli abitanti della Setteponti o degli insediamenti del monte Cocollo che guardano la vallata, ma per questi era una attività a poca distanza da casa, comoda, durata più a lungo nel tempo. Il lavoro di rifrugare le olive doveva trovare l’accordo del fattore e del mezzadro, ma era una attività incentivata dai dirigenti dell’azienda agricola, perché si riteneva che le olive lasciate in terra avrebbero prodotto   un aumento di vermi e di insetti nocivi nelle piante durante l’annata successiva.

Il paese di Persignano e sullo sfondo il paese di Piantravigne

La raccolta delle olive, che oggi comincia a metà ottobre, fino agli anni ’60, periodo in cui prese avvio la meccanizzazione agricola, iniziava molto più tardi perché regolata dalle scadenze dei lavori nei campi. Finita la vendemmia e svinatura il contadino iniziava a lavorare la terra con i buoi a cui seguiva la semina, operazione che copriva tutto il mese di novembre e che per il giorno di Sant’Andrea (30 novembre) doveva essere terminata. Seguivano poi giornate in cui si raccoglievano le ghiande per i maiali e si riparavano le scale di legno.  Poi, per il giorno di San Siro (9 dicembre), dopo l’Immacolata iniziava la raccolta delle olive, che poteva durare ben oltre due mesi. Ricordo bene quando i frantoi della Setteponti, ubicati nel tratto Loro Ciuffenna /Castelfranco di Sopra, lavoravano fino ai primi giorni di marzo. Inoltre nelle numerose famiglie mezzadrili della mia zona era usanza invitare tutti i parenti ad un pranzo, chiamato “rialto” per festeggiare insieme l’ultima domenica di carnevale, e spesso era ancora da finire la “faccenda” delle olive.

In questo tratto di Setteponti si trovavano i possessi di villa Belpoggio e di quattro grandi fattorie che erano Poggitazzi dei conti Libri e poi per successione Magherini-Graziani, Piantravigne dei conti Guinigi di Lucca, Certignano dell’Ospedale degli Innocenti di Siena e Santa Maria, appartenente a   un ordine religioso di suore.  Nei territori di queste aziende agricole, soprattutto in quella di Poggitazzi, punto importante per la transumanza delle greggi del Pratomagno, la rifrugatura delle olive, portata avanti con criteri e regole antiche, veniva praticata da persone soprattutto provenienti dalla montagna.

La collina della Setteponti che diventa montagna. A destra la fattoria di Poggitazzi

Questa seconda raccolta avveniva raramente nei terreni di piccoli coltivatori e coltivatori diretti, perché questi, avendo molto più tempo a disposizione, erano più meticolosi del mezzadro nella coglitura e non lasciavano margini sulla pianta di olivo e nel terreno sottostante. Le squadre che venivano dalla montagna, percorrendo i sentieri della dorsale del monte Cocollo, erano composte non più di tre persone e quasi sempre  avevano a disposizione una bestia da soma, asino o mulo che trasportava qualche balla di fieno, un misero bagaglio personale, delle coperte,  pani da due kg e companatico, dei sacchetti di farina e alcuni grossi contenitori di alluminio che normalmente servivano per il latte; ognuno alloggiava presso un podere diverso, pernottando nel fienile  della  colonica o direttamente nella stalla delle  vacche; la bestia da soma seguiva il proprietario. Il vitto consisteva a colazione, desinare e cena in pane e cacio ma anche pane e salsicce o carnesecca salata e poiché tra il rifrugatore e il mezzadro c’era alla base   una conoscenza e amicizia consolidata di lunga data, quest’ultimo passava fieno al mulo e invitava qualche volta la sera a cena il raccoglitore, che per ripagare aiutava il bifolco nei lavori della stalla. Ogni sabato la massaia faceva il pane e vi erano sempre alcuni pani per il raccoglitore. Se tutto filava liscio, in genere la durata del lavoro era di due e soprattutto tre settimane senza tornare a casa, lavorando tutti i giorni, anche la domenica, tenendo presente che quella mattina c’era la Santa Messa    nella chiesa più vicina, quasi sempre nella cappella della villa/fattoria. Se vi erano necessità qualcuno rientrava  al paese facendo il percorso dell’andata,  ma se tutto procedeva bene si mandavano e ricevevano  notizie da casa   mediante   qualche  capoccia  di  famiglia mezzadrile dell’azienda agricola  che al mercato  di Loro Ciuffenna aveva il compito di  incontrare  e scambiare notizie  con familiari e paesani del raccoglitore; comunque il guardia della fattoria e il parroco che officiava la messa alla villa  erano le persone alle quali facevano riferimento i familiari di coloro che andavano a rifrugare le olive.

 La mattina presto si dava una mano al bifolco ad accudire le bestie e poi si partiva per un campo, indicato dal sottofattore, per la rifrugatura, dove la normale raccolta era terminata. In maniera sistematica erano controllati i rami degli olivi, ma soprattutto si frugava fra le zolle, i ciuffi d’erba, nelle fossette, le poche olive che erano “saltate” al mezzadro. Occorreva girovagare in qua e là per tutto l’oliveto per rimediare, se andava bene, una cistella media piena di olive (12/15 kg), molte ormai un po’ muffate e rinseccolite. Il tempo era quello di gennaio e febbraio, le giornate anche se fredde erano già allungate e le olive in genere erano cadute tutte a terra.  In una settimana ogni raccoglitore riusciva a recuperarne al massimo un quintale, quindi a fine stagione lunga, tre settimane erano oltre   250 kg di olive per ogni ruspaiolo. Praticamente dopo questa ripassata, nell’oliveto non ci restava neanche un’oliva, nemmeno bacata o rinsecchita, tutte finivano nelle cistelle. I tordi, i merli, gli storni e i piccoli pettirossi, che con il freddo migravano verso siti più temperati, non trovavano neppure un’oliva da mangiare e ripiegavano verso qualche verme e verso i frutti dell’edera. Ogni raccoglitore teneva le olive in un luogo indicatogli dal mezzadro e poi le portava al frantoio facendo il giro con l’asino; spesso, in virtù dell’amicizia, era lo stesso mezzadro che con il carro agricolo portava le olive al frantoio.  Se la squadra era composta da tre persone in genere si frangevano sette /otto quintali di olive, da cui veniva ricavato circa centocinquanta kg di olio; da notare che la percentuale di resa era sempre sopra al venti per cento in quanto l’oliva era molto matura. La qualità dell’olio era mediocre per lo stato fisico delle olive, non veniva fatto il lavaggio perché in molti frantoi non era possibile ma soprattutto questo metodo veniva scartato a priori in quanto   raffreddava il frutto e si pensava che incidesse in negativo sulla resa. Importante   era soprattutto la quantità e essenziale   che fosse “olio di frantoio”. La qualità veniva determinata facendo una fettunta con del pane arrostito e poco sale (il termine bruschetta è diventato uso comune da noi molto dopo la seconda guerra mondiale) ma la prova più importante consisteva nel cuocere   un uovo in un padellino con olio, controllando la quantità di fumo durante la friggitura e poi il gusto a caldo, per scoprire eventuali saporacci. (Questo metodo approssimativo, artigianale, “fatto in casa” senza la minima cognizione analitica e scientifica, era abbastanza valido, perché orientativamente permetteva di capire l’azione degli antiossidanti e sul sapore l’azione soprattutto dei perossidi presenti nell’ olio).

 Il vecchio frantoio di Persignano

A frangitura finita, l’olio veniva portato a casa del mezzadro e programmata appena possibile la partenza per il proprio paese, caricando l’olio in fusti sul basto dell’animale da soma. In genere venivano effettuati due viaggi per portare tutto l’olio in quanto se l’animale fosse stato un mulo, si caricava a soma    centoventi chili al massino, se asino molto meno e in base al fisico della bestia, che dipende dalla razza equina.

Il giorno prima di partire, per antica consuetudine fra i rifrugatori di olive che venivano dalla montagna, si faceva a casa del mezzadro una certa quantità di brace con frasche secche preparate dal colono già da tempo, la brace   era un prodotto di uso molto comune, preparata con un lavoro in cui i montanari erano maestri e che veniva lasciata alla famiglia che li aveva ospitati con cordialità per tanti giorni. L’arrivederci con il mezzadro era stabilito ad un prossimo mercato a Loro Ciuffenna che aveva luogo ogni lunedì mattina.

Un mondo antico, che si muoveva secondo vecchie regole precise all’interno di un lavoro di squadra, in cui i rapporti di amicizia e interpersonali erano importanti, dove tutto era finalizzato a superare insieme i problemi della dura vita quotidiana di montagna.

Nb: nel sito www.caivaldarno.it questo articolo di Terre Alte è inserito nel Comune di Loro Ciuffenna, anche se la villa /fattoria di Poggitazzi, la villa ex fattoria di Piantravigne e la villa ex fattoria di Santa Maria appartengono al territorio del Comune di Terranuova Bracciolini e la villa /fattoria di Certignano a quello di Castelfranco/Piandiscò.   Il   vecchio frantoio, ormai inattivo dal secondo dopoguerra ma tutt’ora funzionante, riportato nelle foto è quello di   Persignano Comune di Terranuova Bracciolini, solo la villa Belpoggio è nel territorio di Loro Ciuffenna. Il motivo è che gli oliveti di queste aziende agricole erano e sono ubicati in gran parte sopra la Setteponti e tutti nel Comune di Loro Ciuffenna, come pure provenivano dalle frazioni montane loresi i lavoratori che praticavano questa antica usanza.

Lascia un commento