Nei pressi di Loro Ciuffenna, su una dorsale a quota m 380, appena sopra all’odierno tracciato della via dei Setteponti si trova il grande edificio della pieve romanica di Gropina e intorno alla chiesa alcune abitazioni private, una cappellina della Compagnia e la canonica. La posizione è veramente dominante e panoramica, la montagna a nord contrasta il flusso dei venti freddi di tramontana difendendo così l’abitato, mentre a sud e a ovest il panorama sulla nostra vallata e sull’aretino è veramente spazioso. La chiesa, lunga 45 m. e larga m.17, fu costruita nel tracciato dell’ antica via romana fra Arezzo e Fiesole che era spostato più a monte rispetto all’attuale via dei Sette Ponti, una leggenda popolare arrivata fino ai giorni nostri dice che sulla collina dove è ubicata la chiesa, in epoca precristiana vi sia stato costruito un tempio pagano dedicato alla dea Diana, figlia di Giove e di Latona e sorella di Apollo. Il toponimo “Gropina” è di probabile origine etrusca e il tempio attuale, costruito in epoca romanica nel secolo XII è conosciuto in tutta Italia dagli appassionati di arte, di storia e di architettura religiosa. Esiste un documento dell’anno 780 in cui si dice che la Pieve di San Pietro a Gropina sia stata assegnata in dotazione all’abbazia di Nonantola (Modena), per cui si può dedurre che già nel periodo longobardo/carolingio esisteva un’altra chiesa più antica dell’attuale. Questo importante documento però per alcuni storici è apocrifo, cioè “ falso”, per altri storici invece è autentico.
Conosciute e studiate le colonne e i capitelli, la cui interpretazione trova un po’ discordi ancora gli storici, studiato tutto il complesso architettonico esterno dall’abside alla facciata asimmetrica , soprattutto all’interno è esaminato fin nei minimi particolari il pulpito, detto anche ambone o pergamo, è proprio sull’origine di questo bellissimo manufatto in pietra locale (macigno del Pratomagno) che vi sono fra gli storici, studiosi e appassionati d’arte pareri contrastanti e contrapposti. Come la dislocazione nel Valdarno della fantomatica città romana di Biturgia, che ancora non è stato capito dove veramente era dislocata, così l’origine del pulpito di Gropina continua a dividere gli storici in appassionati contrasti . Per Biturgia o Bituriha sembra che il mistero sia stato risolto, in quanto il defunto prof. Fatucchi Alberto, massimo storico dell’aretino e suo tempo per lunghi anni presidente dell’Accademia Petrarca di Arezzo, autore di un numero interminabile di libri e conferenze sulla storia aretina, aveva individuato nell’ attuale Cavriglia, la dislocazione della misteriosa città riportata nella Tavola Peuntingeriana .
Fino all’anno 1969, il problema dell’origine del pulpito non esisteva, non solo, ma della pieve di Gropina non vi era una eccessiva bibliografia, esistevano invece un certo numero di articoli o di paragrafi che si occupavano di questo tempio in libri e in riviste specializzate dedicate allo studio dell’arte italiana. Fino al 1968/9 fra i libri principali in cui si parlava della pieve in questione vi era il volume “Chiese romaniche della campagna toscana” del sangiovannese Prof. Mario Salmi edito nel 1958, “Storia dell’arte italiana” del prof. Pietro Toesca edito a Torino nel 1927, “Dizionario geografico storico della Toscana” di Emanuele Repetti edito a Firenze nel 1835 (questo volume è presente anche nella nostra bibliocai perché donato dall’allora socio Samoggia Paolo), “Memorie Valdarnesi. Notizie storiche del comune di Loro Ciuffenna” di Gino Manneschi e edito ad Arezzo nel 1921, “L’arte Italiana” edizioni Bemporad Firenze 1935, “Il paese di Piandiscò nella sua vita presente e nel suo lontano passato “ Firenze 1963, “ Il comune di Loro Ciuffenna” del Conte Giovanni Magherini Graziani edito a Città di Castello nel 1909.
Non vi era quindi un libro dedicato esclusivamente alla Pieve di Gropina; solo nel maggio 1969 fu dato alle stampe un volume di 138 pagine in cui si parlava esclusivamente della nostra pieve, il titolo è : “ Antichità del tempio di San Pietro a Gropina. Arte, storia e leggenda “ l’autore e un religioso, Padre Domenico Bacci, la casa editrice è “Il Cenacolo”. Padre Domenico Bacci dei Frati Minori, pubblicò nel 1955 un volume di successo e ancora oggi molto ricercato, dal titolo “Terranuova Bracciolini e la sua storia”.
Nel libro si parla in alcune pagine del pulpito, ma senza entrare nel merito se era contemporaneo all’edificio attuale o antecedente perché allora questa problema non c’era. Alla fine del libro però viene accennato agli antichi reperti murari che furono trovati in quell’anno durante una ristrutturazione del pavimento e l’autore con il titolo “Quali sarebbero stati i risultati di quest’ultima escavazione ? ”formula alcune ipotesi e, da persona molto umile,termina il paragrafo con la frase latina “In dubiis libertas”, che dice tutto e niente.
Era successo che da tempo la soprintendenza, nella persona dell’architetto Morozzi (lo stesso che aveva seguito il restauro dell’oratorio di Casabiondo) era molto preoccupata per le infiltrazioni di umidità sia alla base dei muri perimetrali che nel pavimento, il pavimento poi non era quello originale, ma ricostruito appoggiandosi sopra a uno strato di riempimento che aveva penalizzato anche la base delle colonne. Per impedire le infiltrazioni di umidità fu presa poi la decisione di aprire all’esterno della parete destra, lungo la stradella del borgo che la fiancheggia , una profonda intercapedine per capire come vi penetrassero stillicidi di acqua e nello stesso tempo far circolare aria sopra e sotto il pavimento, questa intercapedine esiste ancora. Internamente fu deciso nel 1968 di togliere tutto il pavimento e il riempimento e fu trovata la vecchia pavimentazione, formata con larghi lastroni molto ben connessi con malta pietrificata, pavimento in cui era chiara un’origine romanica, in effetti fu trovato il vecchio originale impiantito. Gli operai nel lavorare , dal rumore rimbombante delle picconate, capirono che al di sotto di quei lastroni doveva esserci del vuoto e appena rimosso il pesante pavimento fu trovato del materiale di riempimento, tolto il quale furono trovati dei resti di tombe e di mura che analizzati bene , fu chiaro che erano i resti di due chiese precedenti, quella paleocristiana e quella longobarda. Questa scoperta ha aperto una finestra sicura sulla storia della costruzione di questa bellissima chiesa, che come dice il documento dell’anno 780 (apocrifo o no), un luogo di culto cristiano molto più piccolo di quello attuale, esisteva a Gropina già nel periodo longobardo e nel successivo carolingio.
Non fu una notizia da niente, in quanto riportata anche dal Corriere della Sera e da altri giornali (Giorno) che io ebbe la possibilità di leggere con meraviglia e tutto di un fiato al Circolo della caserma Vodice di Bressanone. Saputa la notizia, ripensai subito al pievano Don Pieraccini, con il quale avevo una lunga amicizia maturata in pullman fin dai tempi della scuola superiore. Lo stesso Don Pieraccini, parlando con noi studenti, tante volte aveva asserito che “quello che c’è sotto il pavimento della pieve lo sapeva solo Dio”.
Con la certezza della esistenza della chiesa paleocristiana, forse costruita veramente sui resti di un tempio pagano e quella costruita nel periodo longobardo, venne fuori che quel pulpito, con elementi stilistici vicini alla civiltà longobarda, non fosse coevo alla costruzione dell’attuale tempio del XII secolo, ma provenisse proprio dalla chiesa longobarda distrutta per fare posto a quella attuale molto più grande.
Nel 1986 lo storico dell’arte Mario Bucci, su osservazioni dirette di carattere stilistico condotte in loco, fu il primo ad aver attribuito il pulpito di Gropina all’ arte longobarda durante un conferenza sul passaggio dal romanico al gotico nelle Marche. Mario Bucci si espresse in questi termini: “ Per fare un esempio tipico di arte longobarda fuori della zona marchigiana, guardiamo il pulpito della pieve di Gropina, in Toscana vicino ad Arezzo, lungo la via dei Sette Ponti, che andava da Roma verso il nord. Il pulpito, databile all’VIII – IX secolo, fino a qualche tempo fa veniva definito dai critici come un’opera di un romanico grezzo. Quando il romanico “grezzo” è sulla strada longobarda, è longobardo ; è un pre-romanico di fonte longobarda…… “. Questa tesi fu fatta propria anche dall’ ultimo pievano Don Valente Moretti, che la portò avanti in due opuscoli pubblicati il primo nel 2002 dalle Grafiche Calosci Cortona con il titolo “Il pulpito di Gropina, una splendida meditazione sulla vita di fede”, il secondo opuscolo, pubblicato nel 2003 sempre a Cortona con il titolo “Il pulpito longobardo (sec. VIII) e i capitelli romanici (sec. XII) della pieve di Gropina. Le immagini scolpite nella pietra e i loro messaggi”. Don Valente, parroco molto preparato sulle questioni artistiche religiose, motiva la propria convinzione nell’ultimo suo opuscolo asserendo che “( il pulpito ) non sia romanico ce lo dicono i tanti pulpiti romanici esistenti nelle cattedrali e chiese romaniche della Toscana, i quali son tutti poligonali con nei lati scolpite scene bibliche di facile lettura: veri capolavori. Questo invece è circolare e ricco di simboli a bassissimo rilievo, tranne i simboli dei tre evangelisti nel centro “.
Da tenere presente che già nel secolo XIX il Repetti e poi dal libro “Notizie storiche sul comune di Loro Ciuffenna” del Manneschi edito nel 1921, si era a conoscenza che nel pulpito, nella colonna in rilievo con tre figure, in corrispondenza della tavoletta portata da una figura (San Matteo) , ci sono i resti di una iscrizione assai difficile da decifrare, essendo molto corrosa e scheggiata per circa il 60% del totale. Questa iscrizione è presumibile pensare sia la data di costruzione del pulpito, portando poi anche il nome del committente. L’iscrizione è divisa in due parti, in cui quella contenuta in un solo rigo e incisa molto superficialmente sulla costola porta due parole “Lex” e “Ius” evocanti la potenza della legge di Dio, sul piatto si possono leggere altri pezzi di parole della rimanente iscrizione
Nel 1996, il prof. Carlo Fabbri ha decifrato tutte le parole. Il prof Carlo Fabbri di Terranuova Bracciolini è una persona molto conosciuta nel Valdarno e fuori, fra l’altro deciso sostenitore come il prof Fatucchi che Cavriglia fosse il luogo dove era ubicata l’antica Biturgia o Biturja . Insegnante di lettere in pensione, ha dedicato una vita alla ricerca storica locale soprattutto presso l’Archivio di Stato di Firenze, ed è una persona preparatissima con una cultura umanistica e storica immensa, attualmente è il direttore della prestigiosa rivista “Memorie Valdarnesi” dell’Accademia del Poggio di Montevarchi. Carlo Fabbri ha pubblicato fino a ora molti libri di storia locale, frutto delle sue conoscenze e ricerche di archivio, ha una grande competenza paleografica che gli ha permesso una decifrazione e corretta lettura dell’iscrizione. Secondo questa lettura il pulpito è stato commissionato dal prete Berardo nell’anno 825. Come scrive la dott.ssa Fabrizia Landi, veramente grande esperta dell’arte della pieve,”questo fa del pulpito una delle pochissime opere longobarde datate, e per la Toscana è ancora più rilevante in quanto non è una zona “tipicamente longobarda”, come potrebbe essere per esempio il Friuli con Cividale. Inoltre il Fabbri ha riconosciuto l’iscrizione come appartenente, per la tipologia di alcune lettere, allo scriptorium dell’abbazia di Nonantola, alla quale Carlo Magno e il duca Nordperto avevano assegnato la pieve longobarda di Gropina nell’anno 780.
Come Carlo Fabbri abbia decifrato la scrittura, anche se scheggiata al 60% , è riportato in maniera molto esaustiva nel libro che Carlo e la dott.ssa Liletta Fornasari hanno dato alle stampe con il titolo “ La Pieve di Gropina, arte e storia” , edito dal Servizio Editoriale Fiesolano nel 2005. Libro che consiglio di leggere insieme ad un’ altra bella pubblicazione su Gropina della dott.ssa Fabrizia Landi, edita nel 2016 che è un opera (94 pag.) veramente profonda e completa che si intitola “La Pieve di San Pietro a Gropina”.
Fra gli storici e i critici d’arte, non tutti sono d’accordo che il pulpito sia longobardo, fra i “disaccordi” di questa ipotesi, vi sono nomi famosi di studiosi d’arte e del Medioevo.
Giovedì 4 Luglio scorso, all’interno della pieve di Gropina ebbe luogo un conferenza, organizzata dal comune di Loro Ciuffenna, per il ciclo “Serate dell’Arte 2019” con il titolo “Medio Evo anacronistico. Percorsi nel romanico, da Gropina all’ Europa “. Fra i partecipanti, l’unici iscritti al CAI eravamo io e Rossana Casini, lei in veste anche di “Assessore alle frazioni” del comune di Loro Ciuffenna e contemporaneamente appassionata d’arte. Il relatore, un docente universitario molto bravo, trattenne veramente tutti i partecipanti con il fiato sospeso per il grande interesse del tema trattato , con mia meraviglia e soddisfazione fece vedere anche la scultura sopra alla porta centrale della chiesa di Talciona( fra Poggibonsi e Castellina in Chianti), un posto importante sulla antica via salaiola che da Volterra portava il sale nel Chianti e dove abbiamo fatto alcune escursioni la Domenica e il Martedì. Il relatore disse chiaramente che il pulpito probabilmente era romanico e nel proseguo della conferenza il professore disse che è impossibile stabilire se fosse longobardo, perché sarebbe l’unico esempio di pulpito longobardo in Italia, quindi manca materiale per fare un raffronto, e l’arte è un raffronto continuo fra i vari esempi. Inspiegabilmente però nessuno parlò della data incisa sulla tavoletta retta da San Matteo, come se questa fosse un particolare insignificante.
Mi sia permesso solo una riflessione in quanto se quella data incisa fosse quella della costruzione del pulpito (come è lecito pensare), in quella data si legge veramente “ 825”, quindi in pieno periodo longobardo- carolingio. Nella foto che Carlo Fabbri ha riportato nel suo libro e che riporto fra le fotografie allegate a questo mio post, c’è l’immagine della scritta sulla tavoletta portata da San Matteo, in basso spostato a sinistra si vede abbastanza bene la lettera D, poi uno spazio vuoto (Carlo ci vede una lettera C dopo alla D), poi bene due lettere X e nella parte integra la lettera V . Tutto verte, a mio avviso, sulla presenza della lettera D che nei numeri romani significa 500 , se il pulpito fosse di epoca romanica (1100-1200) la lettera D non ci dovrebbe essere. Inoltre prima della lettera D non c’è nessun altra lettera se non a una certa distanza A D I che dovrebbe significare (Anno Domine Incarnationis), per cui quella data scolpita sulla tavoletta inizia proprio con la D, data che parte così dall’anno 500 d. C. sommando poi le centinaia di anni (tre) dati da tre lettere C, una delle quali vista dal professore accanto alla D, le altre due presumibili ma mancanti perché rotte, ma che, se messe riempiono perfettamente lo spazio libero. La data del pulpito sarebbe così DCCCXXV ( anno 825), ci sono poi altre lettere circa la committenza dell’opera.
La bellezza della pieve di Gropina è anche data da questo dilemma che divide uomini di cultura e affascina, insieme a tante figure dei capitelli (alcune proprio enigmatiche) che però hanno un loro significato e una loro storia e che da sempre attirano in quella bellissima chiesa studiosi e turisti da tutto il mondo.
Testo e foto di Vannetto Vannini