Piandiscò : Il “palagetto” di Casabiondo, esempio di proprietà mantenuta nel tempo.

Castelfranco/Pian di Scò Comunicazioni Terre Alte Valdarno

Del  nucleo abitativo di Casabiondo abbiamo già riferito su Terre Alte almeno due volte, la prima volta  sotto il titolo “Testimonianze  su un antico tracciato  della Sette Ponti” abbiamo parlato della antica viabilità, la seconda volta con il titolo “Oratorio dei Bandini a Casabiondo o chiesetta dell’Immacolata Concezione” abbiamo messo a fuoco la storia di  una bella opera d’arte religiosa dell’inizio XVIII secolo, salvata dal degrado con un magistrale restauro della soprintendenza negli anni ’80 del secolo scorso.  Questa volta l’oggetto di questo articolo è il “palagetto” di Casabiondo, un  antico, ancora per molti versi imponente edificio in pietra,  esempio sia di abitazione signorile che rurale che ha una propria storia. Oggi,  non più abitato da vari anni  comincia a  mostrare i primi  segni del tempo, ma la costruzione è ancora  solida e resistente.

Casabiondo è sull’antico tracciato della Setteponti  che passava a monte  di quello attuale , evitando cosi la profonda gola del  torrente Resco Simontano, il tracciato molto tortuoso e stretto, fu poi modificato e portato  più in basso quando venne costruito fra le due sponde del Resco  il Ponte Nuovo  poco dopo l’unità nazionale. Casabiondo si trovava nella parrocchia di Menzano (oggi di Piandiscò) e deve il suo nome ai Biondi, una famiglia benestante di origine rurale, proprietaria di vari possedimenti in case e terre. Il primo documento di archivio della presenza dei Biondi a Casabiondo è del 1498, ma si pensa che le proprietà di questa famiglia siano esistite già da vari secoli con il capostipite Biondo. A qualche centinaio di metri da Casabiondo, c’è la  villa –fattoria di Casamora , il cui nome discende dalla famiglia Morani. La posizione, nei secoli passati, del nucleo abitativo di Casabiondo merita alcune considerazioni. Posta sull’antico tracciato della Sette Ponti  era ed ancora è a poco più di un Km da  Piandiscò, dove  nel XI secolo  vi fu   costruita la bellissima pieve romanica, Piandiscò  inoltre era  importante perché aveva un mercato in quanto  mercatale del castello dei Conti Guidi  (Castiglion della Corte ) situato sul Poggio della Regina. Da Casabiondo, Piandiscò era raggiungibile sia dal percorso  della Sette Ponti,allora chiamata via Sancti Petri, sia da un diverticolo più corto che scendeva alla Canova dove vi era uno “spedale per pellegrini e da qui in forti pendenze stretto e tortuoso , adatto solo al traffico da soma,  arrivava   al torrente Resco attraversandolo su un probabile ponte di legno (vedere Sito Caivaldarnosuperiore.it- Terre Alte-Valdarno- Castelfranco/Piandiscò- Ponte del Cova nella gola del Resco Simontano ) risalendo ripidamente nella costa opposta verso il paese. Inoltre da Casabiondo saliva la strada per la montagna che passando da Menzano, alla cui parrocchia Casabiondo apparteneva, saliva al castello dei Conti Guidi al Poggio della Regina, proseguendo poi per il monte Acuto, Poggio Castelluccio (sia sull’Acuto che sul Poggio Castelluccio vi erano della torri  controllanti il traffico e di cui oggi sono ancora ben visibili i fondamenti) per arrivare sulla vetta del monte Uomo di Sasso e calare in Casentino. (vedere sito caivaldarnosuperiore.it – Terre Alte – Valdarno- Reggello – i castelli di Poggio della Regina, Monte Acuto, Poggio Castelluccio). Sempre da Casabiondo si poteva raggiungere la badia di San Bartolommeo a Gastra e valicare il crinale per portarsi ai Bagni di Cetica o  Cetica in Casentino. Non è da escludere poi che Casabiondo abbia avuto una certa storia nel Medioevo almeno fin dal XII secolo, in quanto può darsi che vi sia stata una torre  o un piccolo cassero per la difesa degli abitanti, alcune murature e archi nelle parti  sotterranee del palagetto spingono per questa ipotesi che però non ha nessun riscontro d’archivio.

Il palagetto di Casabiondo comprende una bella fetta delle costruzioni dell’insediamento. Il nome “palagio” è una forma arcaica della parola “palazzo” che sta ad indicare una costruzione di pregio e nello stesso tempo antica, ma è un vocabolo abbastanza comune nelle nostre zone.  Lungo i paesi della Setteponti il termine “palagio” è stato usato da parte della popolazione, quella più vecchia, fino agli anni ’50 del secolo scorso. In genere era gli anziani, coloro che era nati   prima che finisse l’ 800 a preferire la parola “palagio” a  “palazzo”, sia per abitudine di parola, ma anche perché il termine palagio si pronuncia meglio di palazzo. Nel mio paese (Persignano), negli anni ‘ 30 del secolo scorso fu costruita da una famiglia benestante una casa che nel dopoguerra molti chiamavano “palazzo”, ma diverse persone ancora  “palagio”.  Senza togliere niente ad altre considerazioni, molto importante  è la posizione in cui si trova la costruzione, in quanto i  “palagi” che oggi si trovano in posizione dominante sulle alture o poggi, con buona probabilità  derivano  da antiche fortificazioni, i “palagi” che si trovano in pianura  o in insediamenti abitati anche piccoli  in genere hanno alle spalle una vita solo nella storia contemporanea. Nel Chianti il termine “palagio” ebbe la massima diffusione , terminata la guerra fra Siena e Firenze con l’occupazione di Siena da parte del Granducato, i castelli semidistrutti furono trasformati e chiamati  “palagi” . Con il passare del tempo il termine “palagio” fu sostituito dal termine palazzo o villa.

 Del palagetto di Casabiondo ne parla in maniera estesa l’architetto Trotta nel suo libro “ Fra il Resco e il Ciuffenna. Ville, cappelle e fattorie  fra le Balze nel Valdarno Superiore”. Il libro fu edito dal Comune di  Terranuova Bracciolini nel 2001 e porta  a pag 158 la cartina schematica dei percorsi delle Balze ideati e realizzati    dal sottoscritto con l’aiuto dei figli, moglie e alcuni amici del Cai.

 La famiglia Biondi doveva essere una famiglia  molto attaccata alla proprietà in quanto nel 1738 (come riporta il Trotta), si preoccuparono che tutti i loro beni rimanessero nell’ambito familiare anche per il futuro, e i tre fratelli  Giovan Domenico, Giuliano Virgilio e  Antonio Giuseppe (figli  di Giovan Battista Biondi)  fecero un “fedecommesso”.  Il “fedecommesso “ è una disposizione testamentaria non  difficile da spiegare anche per chi non è del mestiere. La parola deriva dal latino fideicommissum, parola composta da fides (fiducia) e  commettere ( affidare). Attraverso questo atto i Biondi  vincolarono i futuri eredi maschili della casata a conservare i beni ricevuti in eredità trasmettendoli sempre, finchè possibile, alla propria discendenza maschile.  Nel caso che  la  discendenza si fosse estinta dovevano passare ai discendenti della famiglia di Francesco di Mariotto Manuelli e nel caso si fosse estinta anche quest’ultima famiglia, le loro proprietà sarebbero dovute andare all’oratorio della  Natività   della Santissima Vergine di Ponticelli, verso Reggello ( vedere sito Caivaldarno Superiore – Terre Alte- Valdarno- Reggello- Romitorio di Ponticelli ). L’oratorio di Ponticelli, dove da sempre e ancora oggi vi è una grande festa religiosa  ogni 8 Settembre, è una chiesetta trasformata  nel secolo XVIII in eremo e oggi in Santuario che noi del Cai Valdarno S.  conosciamo bene in quanto nei locali della canonica abbiamo fatto le prime, indimenticabili castagnate da sottosezione Cai (1988- 1989- 1990). Interessante è quanto stabilito e scritto nel fedecommesso del 1738  dai fratelli   Biondi e che l’architetto Trotta riporta nel suo libro:

di non vendere, donare, permutare, ipotecare, impegnare, né a lungo tempo locare, né cedere o alienare la proprietà, fondo, dominio, e comodità dei frutti provenienti ( dai loro beni posti nel popolo di Menzano) ……  ma quelli sempre appresso  di loro mantenere e conservare”.

Il palagetto comprendeva  36 stanze compreso il frantoio da olio, due orciaie, stalla, terrazzo e colombaia, cantina adiacente a detto palazzo con altre sei stanze per l’uso della trattura (lavorazione) della seta, un forno e  vari orti..

 Il palagetto subì una ristrutturazione importante che finì nel 1746, in cui alla vecchia  costruzione venne  accostata,  verso la piazzetta interna dell’insediamento abitativo, un nuovo fabbricato distinto da una bellissima loggia  con sei colonne  di pietra serena e alla fine da due ambienti chiusi, dove in ognuno verrà aperta una finestra. La loggia con le colonne è la parte più interessante   di tutto l’edificio in quanto è molto bella e luminosa. Al piano terra vi sono due entrate ad archi abbastanza monumentali in cui in quello sinistro è scolpita  la data 1746. L’arcata di sinistra (fornice) immette in un ambiente (androne)  con il pozzo e il forno, in cui a sinistra si trova un portone in arenaria  ricurvo e a destra un portale  con la pietra dell’architrave semipoligonale  e scolpito uno stemma con un elmo (probabilmente l’emblema araldico dei Biondi), lo stesso stemma con l’elmo si trova sull’architrave della   porta  di una facciata laterale. Dal portale ricurvo a centina dell’androne parte una rampa  di scale che porta alla loggetta  e alle stanze del piano superiore. Non è dato sapere se l’edificio fu chiamato palagetto dopo l’avvenuto restauro, o se anche così veniva chiamato prima del 1746.

Il palagetto era la dimora padronale con attaccata una casa da lavoratore, il pregio di questa dimora sta nell’uso della pietra lavorata sia nelle cantonate, negli archi che sostengono l’ingressi  delle  cantine sotterranee, nelle scale, nelle colonne e nelle soglie delle finestre. Da documenti storici sappiamo che  intorno al 1820, il palagetto era già declassato a  casa colonica, dovuto questo alla parabola economica decrescente della famiglia Biondi, nel 1872 era ancora di proprietà dei discendenti dei Biondi, una proprietà però molto frazionata, nel 1874 l’intero  palagetto fu acquistato dalla famiglia Nebbiai alla quale  rimase fino al 1939. In seguito l’intero complesso sarà acquistato   per intero dai Butini Gattai, proprietari della fattoria di Casamora.

Oggi il palagetto di Casabiondo, insieme alla chiesetta  dell’ Immacolata Concezione, alla fontana in pietra del secolo XVII, all’antico percorso della Via dei  Setteponti, ci racconta la  storia di un piccolo insediamento rurale , una volta nodo importante nel sistema viario e oggi immerso nella calma e nella bellezza della campagna toscana.

                                                                                                                       Foto e testo di Vannetto Vannini

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