Testo di Vannetto Vannini – immagini da Wikipedia
Nella società agricola, pastorale e montanara di un tempo, la vita quotidiana era condizionata per tanti aspetti da quelle che erano le credenze e i pregiudizi che in talune circostanze da secoli riemergevano sempre. Circostanze e fatti ai quali veniva però attribuito grande significato e che, in assenza di spiegazioni di ordine tecnico e razionale, spesso sconfinavano in paure collettive.
Fra gli abitanti dei paesi e delle borgate della Setteponti sotto il monte Cocollo, vi era la certezza dell’esistenza di un popolo misterioso e silenzioso che abitava i boschi più fitti della montagna e gli anfratti più nascosti delle Balze. Erano queste presunte presenze così tanto radicate nella convinzione umana che gli abitanti della zona con alcune, anche se mai viste, vi erano in un certo modo entrati in sintonia e dimestichezza, perché c’era la certezza che accanto alla vita quotidiana vi fosse una vita parallela di entità misteriose, che si rivelavano attraverso alcuni segni e situazioni. Non è sbagliato affermare che ogni territorio, paese e borgata aveva i propri avvenimenti, apparizioni, visioni che fino a qualche decennio fa erano raccontate sottovoce e guardandosi intorno con cautela e prudenza.
La società attuale ha giustamente fatto a meno di queste convinzioni, provenienti dal mondo arcaico vissuto fino a l’altro ieri, di certo queste credenze popolari che derivavano dall’antico paganesimo ed erano vecchie come il mondo, sono solo un ricordo di cui, però, per ragioni di costume e cultura non deve essere persa la memoria.
Il fenomeno più temuto e che ha fatto letteralmente tribolare tante famiglie è stato fino a ieri l’Orologio di San Pasquale detto anche Orologio della Morte. Improvvisamente, in genere in tarda primavera, estate e inizio autunno si sentiva in qualche stanza dell’abitazione un ticchettio, quasi un segnale di alfabeto Morse, che poteva essere regolare come quello di un orologio o anche irregolare e a questo rumore era riservato un proverbio popolare che diceva: “Orologio di San Pasquale, porta bene o porta male”. La tradizione popolare diceva che portava male se il ticchettio era irregolare, portava fortuna se il ticchettio era regolare. In genere il rumore era quasi sempre irregolare e le disgrazie annunciate qualche volta accadevano con una certa puntualità, una pura combinazione di eventi. La leggenda dice che questo rumore proveniva da San Pasquale Bailoni (1540-1592), religioso mistico spagnolo, protettore delle donne nubili, cuochi, pasticceri e assai caro alla devozione popolare, che con dei colpetti del suo bastone avvertiva chi era in procinto di morire e quindi mettersi nella grazia di Dio. Riguardo a questo Santo, nella nostra zona era molto in voga fino a poco tempo fa il detto: “San Pasquale, fammi trovar un marito bianco, rosso, di colore o come ti pare”.
Quando nella famiglia, in un locale dell’abitazione si sentiva questo rumore, la cui provenienza era quasi impossibile localizzare con certezza perché veniva sentito anche dentro ai muri, la paura e la costernazione attanagliava tutti i componenti. Dalla famiglia veniva vissuto quindi un periodo difficile, di attesa che condizionava alla lunga sia il comportamento che il lavoro giornaliero e la presenza di questo ticchettio che si ripresentava di solito allo stesso orario tutti i giorni ora qua e ora la, non doveva essere di dominio pubblico, in quanto c’era il pericolo per la famiglia di essere emarginata nel contesto paesano. Il rumore poteva durare anche diverse settimane, qualche volta più di un mese e tutte le disgrazie che potevano capitare in quel periodo e dopo, erano riferite a quel ticchettio. Oltre alla morte di un familiare, c’era la paura per un incendio al pagliaio sulla cui cima, per ovviare a ciò, veniva sistemata sempre una croce. Era temuta molto una caduta rovinosa di una bestia vaccina che doveva essere poi abbattuta, ma anche una gravidanza indesiderata di una figlia non ancora sposata era vissuta come una disgrazia. Di quest’ultima disgrazia ne parla Antonio Sordi nel suo libro “L’Aia di’ Botta” in quanto era consuetudine, anche nel secondo dopoguerra presso la fattoria di Casamora, punire la famiglia in questione trasferendola in un podere più disagiato e meno redditizio, che in genere era un podere povero e isolato della montagna.
Ogni famiglia reagiva in un certo modo anche in base alla collocazione della casa, perché se questa era nel paese il fenomeno, pur cercando di non renderlo pubblico ma poi risaputo da tutti per vie traverse soprattutto per merito dei ragazzi, faceva meno paura perché vivere all’interno di una comunità era diverso che vivere in abitazioni solitarie, sia lungo la Setteponti che nella montagna del Cocollo. Le famiglie più condizionate dal fenomeno si rivolgevano anche al parroco che cercava di tranquillizzare dicendo che nella convinzione popolare di quel fatto non c’era niente di vero ma solo superstizione; nella zona di Persignano/Malva con la montagna sovrastante è stato importante il contributo delle suore del convento di Persignano, che davano a tutti un forte senso di serenità e rassicurazione e venivano molto ascoltate.
Nonostante questo, alcune famiglie mezzadrili, ossessionate dal problema, diventato una vera “fissazione”, preferivano trasferirsi in un altro podere dopo aver avuto la sicurezza che nella casa colonica nuova, in passato non vi era mai stato nessun ticchettio sospetto. In qualche caso, però il problema si ripresentava anche nell’abitazione nuova, spaventando ancora di più perché si riteneva allora il fenomeno opera di un maleficio che quella famiglia si portava dietro. In casi del genere spesso veniva fatto ricorso agli stregoni, con conseguenze disastrose dal punto di vista psicologico, finanziario e dei rapporti fra i vari componenti e che spesso portava alla disgregazione della famiglia, soprattutto se questa era una famiglia patriarcale.
Il problema dell’Orologio di San Pasquale è stato un problema serio e molto temuto, che è scomparso pian piano del tutto con la fine dell’epoca mezzadrile, l’abbandono della montagna che ha avuto l’apice negli anni Sessanta e con la scomparsa delle generazioni nate intorno alla Grande Guerra, le ultime generazioni che credevano che questo fenomeno fosse un’qualcosa di arcano e misterioso. Dell’Orologio di San Pasquale ne parla anche Carlo Lapucci nel suo libro “Folletti, fate e paure della tradizione popolare toscana “edito a Montepulciano nel 1989.
Alla fine della spiegazione di questa credenza popolare , vorrei fare una puntualizzazione in merito alla famiglia patriarcale mezzadrile la quale era sottoposta a diverse disgrazie , che si potevano avverare durante e dopo aver udito il ticchettio, come la morte dei componenti più anziani . Queste famiglie mezzadrili erano composte da tante persone, anche venti (nella zona delle Creti senesi molto di più) fra cui diversi individui in età avanzata. Nelle grandi case coloniche vi era sempre una stanza da letto, formato camerata, riservata agli anziani, che erano in gran numero e nel periodo antecedente alla seconda grande guerra, la vita media era appena superiore a sessanta anni. Superare, anche se di poco la soglia dei sessant’anni era un bel traguardo di vita nella montagna del Pratomagno, dove non esistevano famiglie molto numerose e la miseria, la solitudine, il lavoro disagiato, la transumanza in Maremma incidevano molto sulla mortalità. Inoltre sia in campagna che in montagna, anche nel periodo fra due grandi guerre la mortalità infantile aveva un certo peso, la medicina poi era rimasta quella antica senza gli antibiotici che ancora non erano conosciuti; le prime fiale di penicillina furono distribuite, su richiesta, ai medici nella nostra zona dal comando militare inglese di Montevarchi solo nell’inverno 1945/46
In realtà oggi sappiamo che il fenomeno dell’Orologio è dovuto a un coleottero della famiglia degli Anobidi, un grosso tarlo chiamato scientificamente Xestobium rufovillosum che scava gallerie nel legno vecchio preferendo il legno di castagno.
Lungo circa un centimetro, il tarlo si aggira nel suo labirinto finché nel periodo dell’accoppiamento batte con la corazza le pareti della galleria per richiamare l’attenzione della femmina, che al suono del maschio risponde subito con un suono simile innescando così un rumore simile a quello di un orologio Nello stesso periodo di tempo e nello stesso legno possono convivere più generazioni di questa razza di tarlo e nel periodo giusto, quando ogni tarlo presente nelle travi o nei travicelli, cerca “l’amorosa”, la quale risponde all’istante, si sovrappongono molti suoni e il ticchettio diventa irregolare. Il ticchettio regolare , che secondo la tradizione popolare portava fortuna, si sente quando il rumore è prodotto da una sola coppia di tarli, cosa che avviene molto raramente. Essendo difficilissimo localizzare il punto preciso del rumore, alcune volte sembra provenga dall’ l’interno dei muri, ma sicuramente si tratta di effetti acustici o rumori trasmessi attraverso travi, travicelli e in quella parte di correnti murata nella parete
Il motivo poi che una famiglia, lasciata una casa per paura dell‘orologio di San Pasquale lo stesso rumore lo ritrovava poi nella nuova casa, è da ricercare nel bagaglio di cassette di legno, arelle con pali di castagno tarlati per seccare l’uva, pali per fare l’impalcatura ai bachi da seta e vari attrezzi di legno di proprietà che si portava dietro durante il trasloco. Da notare che l’essiccazione dell’uva per fare il vinsanto e la cultura dei bachi da seta avvenivano sempre non nei fondi, ma nel piano abitativo in stanze apposite, dove spesso si manteneva il grano, la farina di castagne e l’olio. La storia dell’Orologio di San Pasquale è una storia lunga , che è stata profondamente radicata nella memoria locale della nostra montagna fino ad ieri e risalente a chissà quale tempo passato. Oggi nessuno ne parla più, ma ha condizionato a lungo la serenità e la pace di tante nostre famiglie.