Nella primavera del 568 un ‘orda di trecentomila persone e una moltitudine di armenti si mise in marcia dalle pianure ungheresi verso occidente. Le greggi spianavano i sentieri con dietro i carri con donne e bambini mentre i guerrieri a cavallo chiudevano la carovana.
Erano i Longobardi che entravano in Italia attraverso il Passo di Predil, sulle Alpi Giulie, e cominciarono a dilagare nelle vallate venete senza incontrare resistenza. Portavano lunghissime barbe e capigliature ( da cui il nome “Longobardi”), indossavano vesti di lino crudo e calzavano stivali di cuoio, erano guerrieri biondi, coraggiosi e violenti. Le capanne in cui vivevano erano pochissimo arredate, dormivano in terra su pelli di capra e non conoscevano le comodità.
Sembra che già nel 575 fossero cadute nelle loro mani Firenze, Fiesole e Siena e si fossero diretti anche verso il Casentino percorrendo il Pratomagno. Gente terragna, i Longobardi non riuscirono ad occupare le isole e le zone adiacenti al mare che rimasero sempre in mano dei bizantini (detti “Romani “ o “Imperiali”) come l’Esarcato di Ravenna.
Il Massiccio del Pratomagno divenne campo di battaglia per i Longobardi in quanto da questa montagna potevano calare nel Casentino e, superato l’Appennino, arrivare in Romagna. Il Pratomagno poteva anche essere aggirato ed era possibile entrare in Casentino da Arezzo. È per questo che i Bizantini avevano posto una serie di presidi sulla montagna che facevano parte di un ben strutturato disegno difensivo che comprendeva una serie di sbarramenti a ferro di cavallo che univano il Valdarno al Casentino, oltrepassando i crinali della montagna. Anche nel fondo valle avevano allestito una linea difensiva lungo la riva destra dell’Arno, nell’intento di fermare i barbari il più lontano possibile dal versante romagnolo dell’Appennino.
La toponomastica viene in aiuto degli storici. Nelle Memorie Valdarnesi (serieVII – 1987) in un articolo dal titolo “ Il Valdarno Superiore e le invasioni barbariche” del prof. Alberto Fatucchi si parla di un “ Campo Romagnoli”, documentato nel 1008 presso il Varco di Gastra (da notare che il toponimo Gastra sicuramente deriva da “castra”- castello). Nella zona di Leccio esiste il toponimo “Lombardia (cioè Longobardia). Probabilmente esistevano presidi bizantini anche sulla parte sinistra dell’ Arno come Camporomano, località sulla riva destra del Rio di Caposelvi che si collega facilmente al toponimo Torre, poco a valle. Sempre nella zona di Leccio esiste un “Campofiracchi”, nome (sempre articolo Fatucchi) spiegabile come Campus filiorum Rachi ( Rachi è un nome longobardo abbastanza comune). Ma pur con una certa cautela sono gli “agiotoponimi” (toponimi dedicati ai santi) che (sempre il Fatucchi) descrivono una vera cerniera di difesa bizantina appoggiata al sistema appenninico: San Apollinare, San Vitale , San Cassiano. Sono santi tipici delle terre dell’Esarcato facente capo a Ravenna o portati dai soldati di Bizanzio e anche nel fondovalle troviamo San Apollinare a Montemarciano e la vecchia pieve di San Cassiano a Laterina presso un attraversamento dell’Arno. Sembra che Arezzo non sia caduta nelle mani dei Longobardi prima del 600 ed è quindi da ritenere che il Valdarno e il Pratomagno rappresentassero per un certo tempo il fronte di guerra fra i due eserciti e sulle alture fossero costruite opere di fortificazioni e di guardia anche se fra i due schieramenti non dobbiamo immaginare una precisa linea di confine. I longobardi, ignari di strategia militare, avevano un esercito mobile che con rapide scorrerie a cavallo si spingevano in profondità nel territorio bizantino, forzando le maglie dei presidi nemici.
Importanti sono poi le vie di comunicazioni che attraversando il Pratomagno collegavano Valdarno e Casentino. Nel libro “ Le strade romane del Casentino” del prof.Fatucchi si descrive una strada che dal guado sull’Arno presso Laterina (pieve di San Cassiano), superando le colline sopra a Castiglion Fibocchi, metteva in comunicazione il Valdarno con il Basso Casentino. Questa strada ad un certo punto si biforcava , il ramo di sinistra varcava il Poggio della Baselica o Basilica (vedere Terre Alte – Pieve di S.Quirico in Soprarno o in Alfiano e Poggio della Basilica – Castiglion Fibocchi) arrivando a Talla passando da Campovecchio dove tutt’ora esiste la chiesetta dedicata a S. Apollinare (vedere Terre Alte- Campovecchio e l’antica chiesetta di S. Apollinare -Talla), il ramo di destra superava la sommità del Monte Capannino (747m) e raggiungeva a Lorenzano la Via Maior, proveniente da Arezzo. In questo tratto la strada passava da Migliarino e Belfiore nei pressi della località chiamata il Santo, dove esiste la chiesa di Ponina (vedere Terre Alte- Sagresto, un brigante del Pratomagno- Capolona) dedicata a San Apollinare.Da notare che un’altra chiesa dedicata a S. Apollinare si trovava appena fuori Subbiano.
Sicuramente durante la guerra longobardo-bizantina questa viabilità esisteva e quindi è pensabile un presidio bizantino nei pressi di Ponina che ha portato poi a dedicare a San Apollinare la chiesa, presidio che oltre a contrastare l’avanzata proveniente dalla Consuma e da Montemignaio, teneva sotto controllo le mosse dei longobardi che, dopo aver conquistato Arezzo, si erano attestati nella zona di Giovi e la Chiassa, quella zona che ancora oggi viene chiamata” Terra Barbaritana”. Il torrente Chiassa rappresentò per vari anni l’ultima barriera di confine fra la civiltà bizantina o romana e quella degli invasori longobardi, per questo l’area fu definita “ Terra Barbaritana”. Con molta probabilità furono i bizantini ad attribuirle tale denominazione, in disprezzo alle popolazioni barbare che vi si erano insediate.
La chiesa di Ponina è ancora oggi dedicata a S. Apollinare ed è la chiesa di cui fu parroco durante l’ultimo periodo bellico Don Tarquinio Mazzoni (vedere Terre Alte– Don Tarquinio Mazzoni. Prete, partigiano e sindaco. Capolona) ed è chiamata “Il Santo” perché in questa maniera i bizantini chiamavano S. Apollinare. La chiesa è stata recentemente restaurata dalla Soprintendenza di Arezzo e nuovamente può essere ammirata una Crocefissione del XII secolo ritrovata durante il restauro e le eleganti linee dell’oratorio settecentesco.
Foto e testo di Vannetto Vannini