di Vannetto Vannini
La tosatura delle pecore è sempre stata un’operazione necessaria per la salute dell’animale e nello stesso tempo, fino agli anni ’60 del secolo scorso un piccolo introito economico ripetitivo/ annuale per gli allevatori. Oggi la lana delle pecore della nostra montagna, che per razza di animale e qualità di pascolo storicamente non è mai stata pregiata come quella delle pecore del Lazio, Puglia, Sardegna, Abruzzo e Molise, non è più richiesta dall’industria tessile e, venuto a mancare l’uso familiare, è considerata uno scarto senza valore. La lana ricavata dalla tosatura che deve essere effettuata una volta l’anno, è mandata al macero o gettata in concimaia allo scopo di aumentare la massa del letame ovino, fra l’altro ottimo come fertilizzante e quindi molto ricercato dagli agricoltori. Il periodo per tosare gli ovini è ancora oggi il mese di maggio, prima dell’arrivo del gran caldo estivo, periodo che un tempo, coincideva con il ritorno in Pratomagno dei pastori transumanti dalla Maremma.
Prima della tosa, per motivi di praticità, igiene e poi per motivi economici in quanto la lana di pecora era più commerciabile e remunerativa se venduta lavata bene, alle pecore veniva fatto il bagno in un luogo adatto di un torrente. Si può dire che in tutti i borghi del Pratomagno e della Setteponti vi erano lungo i torrenti delle grandi pozze, chiamati in genere “pozziconi o bagni”, veri piccoli laghetti sfruttati un tempo per lavare le pecore, risciacquare il bucato, fare la doccia in determinati periodi dell’anno, dove hanno imparato a nuotare generazioni di ragazzi. Ogni allevatore faceva riferimento al pozzicone più comodo e vicino, uno dei più conosciuti perché grande e raggiungibile era situato lungo il corso del Ciuffenna nel tratto compreso da Rocca Ricciarda e Gorgiti e chiamato Pozzo del Bagno; anni fa la Comunità Montana vi ha messo alcuni cartelli esplicativi per non perdere la memoria di un uso antico e così importante del laghetto. Questo tratto di torrente è molto bello, vario e vi sono numerose pozze che nei giorni caldi d’estate vengono frequentate da bagnanti, pozze che si interrano e poi si riformano, causa le piene del Ciuffenna come è avvenuto con quella catastrofica del 1993.
La lana di pecora lavata nel linguaggio ufficiale del commercio veniva chiamata “lana saltata a dosso dell’animale”, addirittura come riportato in un opuscolo intitolato “Usi e consuetudini mercantili in vigore nella provincia di Arezzo “edito nel 1930 dal Consiglio Provinciale dell’Economia di Arezzo, poiché la pecora, in genere, veniva lavata due volte consecutive, si usava ufficialmente l’espressione “saltata due volte” o con “due salti”.
Ma perché si usava la dicitura “lana saltata”? Semplicemente perché per effettuare il lavaggio alle pecore, queste erano letteralmente scaraventate in acqua con una spinta che provocava un salto da un trampolino dentro la pozza sottostante, dove avveniva poi il lavaggio del vello. Più lavaggi venivano fatti, più salti dal trampolino erano necessari. Il trampolino era una costruzione fissa lunga diversi metri, a forma d’imbuto, costruita con robusti pali e assi, resistente, situata a circa un metro di altezza dal pelo dell’acqua della pozza dove la corrente era minima e l’acqua abbastanza profonda per consentire una totale immersione dell’animale, che dopo essere stato stropicciato e lavato, tornava sulla riva ad asciugarsi. Questa antica usanza, è stata immortalata dal pittore macchiaiolo Giovanni Fattori in un suo celebre dipinto del 1887 intitolato Salto delle Pecore, conservato all’Accademia delle Belle Arti di Firenze.
Portare un gregge di pecore a lavare non era operazione semplice, perché oltre ad avere un luogo adatto e vicino lungo il torrente, questo lavoro fatto sempre con l’ausilio dei cani e con in testa il montone, chiamato guidarello, richiedeva molta manodopera per indirizzare il gregge verso il trampolino, dare l’eventuale spinta alla pecora riluttante a compiere il salto, per il lavaggio stesso degli animali eseguito da un certo numero di persone pratiche del lavoro e posizionate nella pozza con l’acqua fin sopra il ginocchio. Ad ogni animale veniva effettuato quello che nel gergo popolare era chiamato” brusca, striglia e risciacquo”, eliminando così dal vello terra, sporcizia varia, parassiti, unto e permetteva alla lana di riprendere il colore originario. Molto spesso la manodopera era insufficiente e allora veniva fatto riferimento ai familiari del pastore e agli amici, in genere se il numero delle pecore non era eccessivo, si univano due greggi di allevatori diversi. L’unione dei due greggi, che veniva effettuata in un punto prestabilito del percorso, si chiamava “imbrancatura” e non avveniva facilmente perché doveva essere vinta la normale ritrosità degli ovini a mescolarsi con altri animali con i quali, pur essendo della stessa specie, non c’era affiatamento. Per imbrancare le greggi per il lavaggio era necessario controllare attentamente anche il comportamento dei montoni, soprattutto quelli anziani che erano dominanti nel loro branco di pecore che consideravano un harem personale e con facilità si sarebbero scontrati per gelosia con i montoni dell’altro gregge; lo scontro si risolveva sempre in un combattimento a zuccate o cornate dopo essersi studiati attentamente e metteva in agitazione le pecore. Eseguito anche il secondo salto cominciava il ritorno a casa del gregge e arrivati al punto in cui nel viaggio di andata era avvenuta l’imbrancatura avveniva la separazione, senza problemi perché il guidarello e i cani di un gregge si dividevano da quelli dell’altro branco che prendevano un percorso diverso e le pecore, per pratica e istinto, seguivano fedelmente il guidarello e cani del gregge di appartenenza, inoltre , siccome le pecore preferiscono fare gruppo con quelle con cui hanno sempre convissuto e con cui si sentono “affiatate”, ogni pecora e agnello portavano sul vello un preciso segno di riconoscimento. Per diverse centinaia di metri l’acqua continuava a sgocciolare dal vello degli animali ma poi si asciugava rapidamente facendo assumere alla lana un colore candido e lucido; l’ovino era pronto per la tosatura che doveva essere effettuata due, massimo tre giorni dopo.
Nei borghi del Pratomagno, e della Setteponti, il bagno alle pecore era atteso soprattutto dai ragazzi perché considerato un divertimento, la tosatura invece era vissuta dalle famiglie come fosse un rito e come tale, occasione per fare festa e bisboccia con vino, acqua cotta, formaggio, ma soprattutto il buglione, una pietanza di origine maremmana fatta con pezzi di carne ovina, cipolla, olio, peperone e sale.
Oltre ad una grande capacità professionale, dietro la tosatura delle pecore c’era un notevole lavoro organizzativo, di questo ne parla Franca Loretta Norciani nel libro Il vello d’oro. I vecchi mestieri e le antiche tradizioni artigianali del Casentino (Calosci- Cortona 1996) e Carla Ciagli in Garliano in Casentino. Racconti per conoscere i nostri luoghi (Pagnini Editore 2021), in quanto i tosini più rinomati che venivano a lavorare nei paesi del versante valdarnese del Pratomagno provenivano da Pontenano (Talla) e da Garliano (Castel San Niccolò). Nei paesi lungo la Setteponti arrivavano tosini provenienti anche dal reatino.
L’attività dei tosini si sviluppava in un lavoro di squadra all’interno di un gruppo comprendente anche dieci uomini e alcuni ragazzi in funzione di “meo”, tutti diretti da un capoccio che aveva preso accordi con gli allevatori di una determinata zona. Si formavano nei paesi delle compagnieche dal Casentino, a piedi e con l’aiuto di un mulo o due su cui erano caricati i bagagli personali e gli attrezzi del mestiere, varcavano i passi del Pratomagno calando nelle frazioni montane del versante valdarnese dove si sarebbero mossi secondo un itinerario già stabilito; la stagione dei tosini iniziava nei primi giorni di maggio e terminava a fine giugno. Nei paesi della Setteponti, più facili da raggiungere, i tosini sia quelli casentinesi che del reatino arrivavano in treno ad Arezzo e poi in corriera, portandosi dietro una bicicletta con la quale si muovevano da un paese all’altro. Per il vitto e pernottamento provvedeva l’allevatore che ospitava i componenti della squadra in fienili e capanne, dove venivano allestite delle rapazzole. Dagli anni ’50 i tosini del Casentino usavano le motociclette per trasferirsi, accorciando in maniera significativa i tempi per percorrere le distanze e diminuire le fatiche. L’arnese usato per tosare gli ovini era una grossa cesoia a due lame taglienti che veniva continuamente arrotata con la pietra affilatoio, solo nel secondo dopoguerra arrivarono delle macchinette manuali con le quali il lavoro fu reso abbastanza facile e velocizzato, poi arrivarono quelle elettriche.
Le pecore da tosare erano rinchiuse in uno stazzo, prelevate e con tutte quattro le gambe legate (incaprettate), operazione già di per se difficile che richiedeva almeno due persone, poi venivano consegnate una per volta ai tosini. Con una tecnica vecchia di secoli, l’operazione di tosatura era portata a termine rasando anche la coda e la lana del ventre facendo la massima attenzione a non provocare ferite alla cute dell’animale, chiamate “braciole”. Una pecora di razza normale (non merinos) dava in genere due kg di lana, i montoni anche il doppio, ma il peso era condizionato molto dal numero di “salti” nella pozza effettuati per il lavaggio.
Come riportato nei testi citati, negli ultimi decenni del secolo XIX i tosini guadagnavano cinque centesimi per animale tosato, sia pecora che montone, che salirono a venticinque-trenta centesimi all’inizio del 1900, per arrivare a cento lire negli anni ’50 e nei decenni successivi a più di tremila lire per pecora. I soldi venivano pagati e custoditi dal capoccio ma ogni tosino sapeva e memorizzava il guadagno giornaliero (i ragazzi al loro primo anno di lavoro prendevano la metà degli altri) ed era tradizione fare i conti due volte per stagione: a metà periodo lavorativo e al ritorno a casa.
Oggi le pecore vengono lavate a ventaglio con l’idro pulitrice e tosate con macchine elettriche e il mestiere di tosino non è più fra quelli professionali. L’escursionista che passa dalla Pozza del Bagno fra Gorgiti e Rocca Ricciarda, per il sentiero lungo il Ciuffenna, una volta animato di animali e persone, leggendo i pannelli esplicativi intuisce il passaggio impietoso del tempo che ha trasformato il luogo e messo fine a un’usanza comune la cui memoria è dipinta in un bellissimo quadro di un grande pittore macchiaiolo di fine Ottocento.
Nb. Le foto sono dell’autore del testo, la foto del quadro di Giovanni Fattori è stata ripresa da Wikipedia
1 thought on “Loro Ciuffenna: Il Pozzo del Bagno sul torrente Ciuffenna fra Gorgiti e Rocca Ricciarda, dove le pecore venivano “saltate” per lavare la lana prima della tosatura”