Nella nostra montagna la formazione rocciosa prevalente è costituita da affioramenti di macigno, che prende appunto il nome di “Macigno del Pratomagno”,pietra sedimentaria costituita da arenarie con strati di argilliti scistose che ha avuto origine nel Periodo Oligocenico, periodo compreso tra i 35 e i 23 milioni di anni fa. Questa pietra è costituita da materiale molto fine essendo una rena depositatasi nel fondo del mare dopo essere stata trasportata dai fiumi, e si è compattata sotto la forza di enormi pressioni idrostatiche, dovute alla sovrastante colonna di acqua. Nella compattezza di questa pietra ha avuto un ruolo determinante anche il collante in quanto i granuli di rena sono legati da un cemento, originato da una precipitazione chimica di minerali formati da ioni presenti nell’acque circolanti tra granello e granello di rena o sabbia; comunemente come legante si rinviene il Carbonato di Calcio sotto forma di Calcite (CaCO3), ma talvolta anche Ossido Ferroso (FeO). A seguito di sconvolgenti movimenti della crosta terrestre, questi materiali sono nuovamente riaffiorati e quello che oggi vediamo in banchi o filoni quando facciamo le nostre escursioni, era materiale del fondo del mare. Dal Macigno del Pratomagno si ricava la pietra serena detta anche “pietra forte”, utilizzata nelle costruzioni di montagna.
Ma se la pietra arenaria è prevalente su tutta la catena del Pratomagno, esistono anche grossi affioramenti di pietra calcarea, soprattutto nel territorio del Monte Cocollo m. 881, una montagna con una bella dorsale che si stacca in direzione sud dalla catena principale del Pratomagno esattamente da Poggio Montrago m. 1281. La presenza del calcare ha permesso l’attività fino alla fine del secolo XIX di alcune “fornaci di calce” i cui resti ricoperti dalla vegetazione sono sul Cocollo versante di Modine, sopra alla borgata di Oliveto e vicino a Pulicciano. La roccia calcarea che si trova nel comprensorio del Cocollo è formata soprattutto da “Alberese”, una pietra con un contenuto di Carbonato di Calcio (CaCO3) abbastanza alto perché va dall’80% al 94%. Il nome “Alberese” si pensa possa derivare dal fatto che nella pietra, soprattutto nei piani di stratificazioni che tagliano la formazione rocciosa, ci sono delle figure di alberelli (dendriti) costituite da micro palline di manganese. Nella nostra montagna la pietra di Alberese è stata usata per secoli nella costruzione delle case e nei pavimenti delle stalle, non è stata usata invece nei tetti come lastra (lose) perché troppo spessa e quindi pesante.
Nei pressi di Oliveto 570 m. borgata sulla strada di montagna che da Loro Ciuffenna porta a Odina, c’è un grande affioramento di alberese appena sopra alla rotabile, a destra venendo da Loro C. e prima di arrivare al paese. È qui che ci sono le “Buche delle Fate”, un sistema di caverne e cunicoli, di cui quello principale orizzontale che si sviluppa all’interno della roccia, cunicolo che da Oliveto, un tempo terminava qualche km dopo in località Cercato, esattamente in un punto chiamato Salto della Lepre dove c’è la solita conformazione geologica. In un passato recente vi sono stati molti speleo, e fino al secondo dopo guerra il cunicolo, pur con qualche difficoltà, era percorso per diverse centinaia di metri e vi erano molte stalattiti , poi è franato ( ho la testimonianza certa di mia madre che, da ragazza,era nata e abitava nei pressi di Oliveto). Durante il passaggio del fronte bellico, le Buche delle Fate divennero rifugio per la popolazione quando gli inglesi, dalle montagne del Chianti, bombardavano con cannoni dai grossi calibri le postazioni tedesche sopra alla Setteponti. In ricordo di questi fatti e in ringraziamento per l’avvenuta salvezza , nel dopoguerra è stata murata su una parete un’immagine sacra della Madonna. Come in altri posti del Valdarno e della Toscana, la popolazione ha da secoli attribuito alle Fate la costruzione di questi cunicoli, a quelle Fate, figure leggendarie e dall’aspetto rigorosamente femminile e simbolo universale di magia, che hanno la stessa età del mondo e da sempre sono intimamente legate all’universo della natura, sia dei boschi che delle caverne. Su questo argomento torneremo alla fine, mi preme ora dare una spiegazione scientifica per cui si sono formate queste cavità all’interno di una massa di roccia calcarea, formazione che è poi comune a migliaia di altri casi.
Tutto comincia con l’acqua piovana che dopo aver solubilizzato l’Anidride Carbonica (CO2) incontrata nell’aria durante il percorso di caduta, si arricchisce di ioni idrogeno (H+), cioè diventa leggermente acida. Il Carbonato di Calcio è una sostanza insolubile in acqua, ma la piccola quantità di acido carbonico presente nell’acqua piovana, lentissimamente tende a trasformare il carbonato in bicarbonato, CaC03 + H2CO3 > Ca(HCO3)2, il quale essendo solubile in acqua, sciogliendosi da luogo alle cavità o grotte. Questo è un processo che , andato avanti per milioni di anni, ha dato origine a tutti i sistemi carsici che conosciamo. Questa reazione chimica, apparentemente facile, in realtà è abbastanza complicata perché condizionata da diversi fattori come la temperatura e la velocità dell’acqua . Nello specifico delle Buche delle Fate, poiché il fenomeno del carsismo è avvenuto orizzontalmente e non in profondità, la causa deriva dallo scorrimento orizzontale di acque sotterranee che vi fluivano in epoche remote provocando dei solchi erosivi, un flusso di acqua che poi usciva all’aperto nella zona del Cercato, percorrendo in tutta la lunghezza la massa calcarea.
Per quanto riguarda un’ eventuale frequentazione delle stesse “Buche” in epoca preistoria, sappiamo che alcuni appassionati ricercatori storici hanno trovato all’esterno delle schegge informi di selce e all’interno frammenti ossei, probabilmente portati in superficie dalle numerose gallerie scavate da animali selvatici.
Tornando alla credenza popolare che queste grotte fossero la dimora delle Fate, non è poi lontano il tempo (fino al secondo dopoguerra) in cui la gente, quando non c’era una spiegazione conosciuta del fenomeno, credeva a un popolo misterioso, quasi sempre invisibile, che abitava caverne, luoghi isolati, boschi, rovine, balze, presenze con le quali gli abitanti dei piccoli paesi come il mio (Persignano-Malva) erano entrati quasi in familiarizzazione . Ancora oggi, il mondo attuale delle campagne e delle montagne non ha distrutto completamente le idee, molte di chiara origine pagana, che stavano alla base di queste credenze. D’altra parte questa era la visone di una società, soprattutto contadina, che è durata fino alla rivoluzione industriale e alla scomparsa del mondo rurale mezzadrile, ancorato a leggende, pregiudizi, superstizioni ataviche provenienti dalla notte dei tempi.
La parola “fata” potrebbe derivare dal verbo latino “fateor” che significa riconoscere, dire, manifestare, ma nella lingua italiana ci sono una serie di parole dal significato simile (fato, fatale, fatalismo, fatalità, fatiscente….), ma anche “mani di fata” con riferimento alla straordinaria abilità di una donna nei lavori di ricamo e di cucito tanto belli e difficili che sanno fare solo le mani di una persona fuori dalla norma, una fata !. Nel linguaggio arcaico inoltre la parola “fatua” significa indovina ed è legata alla parola Faunus, che è l’antico dio italico delle selve e dei campi e Fatua sarebbe il soprannome della figlia di questo dio agreste che è molto simile, come iconografia, al dio greco Pan.
Il prof. Porri Dino, conosciutissimo studioso e storico valdarnese e uno dei nostri primi associati al CAI, in un lungo articolo sulla Storia del Valdarno scrive che la Fonte delle Fate di Loro Ciuffenna (che altro non è che la Buca o Buche delle Fate) è riconducibile al culto degli “dei Fata”, poi “deae Fatae. Lo studioso e scrittore Vittorio Dini ha individuato nella Fonte delle Fate o Buche delle Fate di Oliveto, ma anche sul Monte Cocollo (ne parleremo prossimamente), dei luoghi molto favorevoli all’antico culto delle acque, culto molto legato al significato di “grotta” contenente le acque galattofore, acque che stimolavano la secrezione lattea nelle post- partorienti. (vedi. www.caivaldarno superiore.it/terre alte/valdarno/ reggello / fonte lattaia di sant’agata). Ma se in epoca pagana, il culto delle acque galattofore era legato profondamente alla dea della fecondità, con il passaggio al cristianesimo questo culto fu molto legato a Sant’Anna, Sant’Agata, Sant’Eufemia, Santa Margherita…..
Ma perché si creava questo culto? L’acqua che scaturisce nelle grotte, come quella delle Buche delle Fate, è un’ acqua biancastra lattiginosa perché ricca di sali di Calcio, soprattutto Carbonato, e lo stillicidio continuo e intermittente depositando il Calcio, crea nel soffitto e nelle pareti delle grotte delle figure stalattitiche che prendono la forma di mammelle gocciolanti, e sono questi particolari che hanno sempre colpito la fantasia popolare fin da tempi antichissimi.
La Buca delle Fate di Oliveto, si inserisce perciò a pieno titolo fra quelle testimonianze, non solo geologiche, ma anche storiche, magiche e religiose che rendono ancora più bella e interessante la nostra montagna del Pratomagno.
Per arrivare alle Buche delle Fate, che, venendo da Loro C. sono appena una decina di metri sopra alla strada, conviene arrivare ad Oliveto esattamente al bivio (dove poco dopo finisce l’asfalto) con due frecce malandate di legno, una con scritto “Cocollo”, l’altra con scritto “Oliveto”. Si segue la direzione per le case di Oliveto che sono ubicate a poche decine di metri percorrendo la stradella che porta alle abitazioni. Poco dopo si arriva ad un sottopasso quadrato, si oltrepassa giungendo sullo spiazzo davanti ad una casa. In fondo allo spiazzo c’è un piccolo cancello di legno, si apre e si oltrepassa (ricordarsi di richiuderlo) e si costeggia una rete di recinzione verde. Alla fine della rete ci si mantiene verso l’alto a sinistra (a monte) e si costeggia una parete alberata, poco dopo nella base della parete si notano certe strane forme di pietra levigata: sono le Buche delle Fate. Le stesse Buche, data la vicinanza della strada, possono essere raggiunte anche dall’inizio del paese, esattamente dal punto sulla via dove, a destra venendo da Loro C. c’è una capanna di legno e alcuni cipressi , ma poi si entra nella proprietà privata.
Testo di Vannetto Vannini- Foto di Laila Pausa