Faeto è una frazione del comune di Loro Ciuffenna, dista dal capoluogo circa 9 Km ed è situata ad una altezza di 612 su un contrafforte meriodinale del Pratomagno nella vallecola del torrente Agna che ha la propria sorgente nei dintorni dell’Anciolina. Di certo il nome Faeto deriva dalla parola latina “fagus” (faggio), infatti dal paese fino al crinale del Pratomagno esistono estesi boschi di questa pianta. Interessato dai sentieri CAI 39 e 49, oggi il piccolo paese rimane però in una posizione geografica defilata e abbastanza appartata che non giustificherebbe in quel posto l’ubicazione di un castello importante tanto da essere rammentato in un diploma concesso nel 1356 dall’ imperatore Carlo IV alla città di Arezzo.
Probabilmente nel Medioevo il castello era stato costruito proprio in quella zona perché allora doveva essere un’area interessata da traffico intenso dal Valdarno al Casentino e viceversa e quindi aveva la funzione di tenere sotto controllo il va e vieni. Da tenere presente che attraverso un valico importante come quello dell’Anciolina, si collegava e si collega agevolmente la Pieve di Gropina con la Pieve di Santa Trinità in Alpe. Ma già nel periodo preromano , passando dal territorio dove poi fu edificato Faeto si mettevano in comunicazione due siti etruschi come Gropina nel Valdarno e Socana nel Casentino, mentre nel periodo romano si univa la Cassia Vetus alla Via Maior che da Arezzo scorreva ai piedi del Pratomagno casentinese. Questa ipotesi che il castello di Faeto sia stato costruito su un percorso di traffico è avvalorata anche dalla toponomastica, in quanto al toponimo Gropina viene attribuita una base semitica indicante un significato come “via verso il monte”. Lo stesso toponimo Casamona, che è una borgata vicinissima a Faeto, secondo alcuni studiosi deriva da voci che lo indicherebbero come un “ luogo di riparo e riposo per viandanti”.
A Faeto c’e la chiesa lungo la strada principale, un piccolo luogo di culto dedicato a Santa Maria Assunta che per secoli è stata la parrocchiale e forse riadattata nella antica chiesetta del castello. All’interno dell’oratorio é stata attribuita al pittore fiorentino Neri di Bicci (1419-1492/93) la bella pala sopra all’altare maggiore, la storia della pala e del recente restauro è descritta nel libro edito da Edifir- Firenze nel 2011 dal titolo – Neri di Bicci. L’Assunzione della Vergine di Faeto in Pratomagno . Storia e restauro – a cura di Paola Refice e Isabella Droandi. La pittura, secondo un confronto con altre opere dello stesso autore è databile 1475-1485 e reca al centro la Madonna che offre una cintola a San Tommaso inginocchiato , alla destra San Sebastiano che porta nelle mani la freccia e la palma del martirio, alla sinistra un personaggio maturo con barba e vestito del piviale con le insegne papali identificato con San Fabiano, papa e martire nel IV secolo, spesso associato a San Sebastiano con il quale è invocato contro la peste. Numerosi angeli fanno da contorno alla Madonna che ha ai suoi piedi un orante in ginocchio che dovrebbe essere il committente della pittura. L’identificazione di San Sebastiano e San Fabiano è stata determinante per poter ipotizzare il percorso della pala che con buona possibilità sia da ritenere provenga dalla chiesa della Traiana, la cui parrocchiale è intitolata proprio a San Fabiano e a San Sebastiano e che già nel 1516, in seguito ad una visita pastorale sappiamo possedeva una pregevole tela. Lo spostamento della tela dalla chiesa della Traiana a quella di Faeto, probabilmente avvenne poi in previsione di una forte ristrutturazione della chiesa della Traiana nel settecento con l’inserimento di una nuova tela con l’immagine dei titolari, tela che è presente ancora oggi sull’altare maggiore.
Il libro della Edifir riporta che probabilmente il quadro, già rovinato alla Traiana a causa di umidità e infiltrazioni d’acqua, ebbe a subire nel 1786 un restauro e un altro alla fine del XIX secolo. Durante questi lavori di risanamento la pala ebbe un inedito trasferimento di soggetto da Assunzione della Vergine a Madonna del Rosario, alterando decisamente la fisionomia della Madonna e aggiungendo nelle sue mani la corona a grani che consegna a San Tommaso. Questo cambiamento di soggetto fu abbastanza comune dopo l’istituzione della festività della Madonna del Rosario susseguente alla vittoria della flotta cristiana sui turchi nelle acque di Lepanto il 7 Ottobre 1571.
Essendo in pessimo stato di conservazione e in seguito a richieste di restauro, la pala fu consegnata nel 2008 alla Sopraintendenza e tramite il lavoro effettuato da R.I.C.E.R.C.A. (Ricerca Indagine Conservazione e Restauro Consorzio Aretino) è stata riportata alla bellezza originale e può essere contemplata nella chiesetta di Faeto. Un patrimonio artistico non solo di Faeto ma di tutta la nostra montagna.
Scrivendo della pala di Neri di Bicci che è nella chiesa di Faeto, viene in mente il penultimo parroco di questa chiesa che fu don Dante Ricci, uno dei diciassette parroci della provincia di Arezzo uccisi dai soldati tedeschi prima e durante il passaggio del fronte nell’estate 1944. Come in altre parrocchie della nostra montagna, anche il prete di Faeto nascose renitenti alla leva repubblichina, ricercati e ebbe contatti con i partigiani; una spia tradì il parroco che catturato l’11 Luglio dai tedeschi, fu torturato e massacrato a colpi di baionetta in un bosco poco lontano dal paese. Nonostante le sevizie, don Dante Ricci non volle rivelare i nomi dei partigiani che conosceva. La storia di questo umile, grande prete di montagna, è per lo più sconosciuta alla maggioranza delle persone e sta cadendo nel dimenticatoio, compito di ognuno di noi è anche quello di non far perdere la memoria di chi ha dato la vita per renderci liberi. Nel 70° anniversario del passaggio del fronte bellico, il comune di Loro Ciuffenna di lato al cippo che ricorda i caduti civili e militari di Faeto nelle due guerre, ha messo un pannello in cui viene rievocato il sacrificio di questo parroco del nostro Pratomagno.
Dopo don Dante Ricci, resse la parrocchia di Faeto Don Argante Pieraccini dal 1945 al 1957 che fu l’ultimo parroco, poco dopo la parrocchia di Faeto fu inglobata in quella di San Giustino Valdarno.
Testo di Vannetto Vannini