Nella nostra montagna, come in qualsiasi altra zona, fino agli anni ’60 del secolo scorso erano rimasti pressoché immutati e ancora vivi, antiche tradizioni e vecchi rimedi che venivano tramandati da generazione in generazione dalla notte dei tempi. La miseria,l’isolamento unito alla difficoltà morfologica del territorio, la lontananza dei medici, faceva si che per piccoli acciacchi soprattutto esterni, si ricorreva come curativo a quanto poteva offrire il mondo vegetale e animale che era alla portata di tutti, e soprattutto senza spendere niente. Infatti aria fresca per esercizi respiratori, acqua calda salata per impacchi, erbe per un infuso, sono cose che sul bilancio familiare non pesavano. E’ la verità asserire che il mondo di ieri, fin dall’antichità è stato pervaso da rimedi popolari che sono poi arrivati fino a noi, l’uomo ha sempre cercato di impadronirsi della parte più nascosta e più utile della piante e dell’erbe che sono le essenze utili nella medicina popolare. Ancora oggi le popolazioni che vivono maggiormente in contatto con la natura hanno una profonda conoscenza della flora locale e dei suoi usi medicinali.
Nel Pratomagno i rimedi popolari per piccole infezioni che oggi ben pochi ricordano erano soprattutto il “Vino alle formiche” e il “Pane masticato” o come veniva detto nel linguaggio montanaro “Pan mastucato”.
Da tenere presente che il paese di Anciolina, il giorno di San Michele che è il 21 Settembre , viene da sempre e ancora oggi invaso da milioni di formiche alate (vedi Terre Alte – Culto micaelino e formiche di San Michele).
Le formiche hanno sempre eccitato la farmacopea popolare tanto che nel Veneto era in uso scavare e portare via una sostanza collosa che si produceva sotto i formicai, questa specie di resina unita ad una buona dose di grappa, costituiva un cataplasma da spalmare nel ventre dei bambini per eliminare i vermi intestinali. Nelle montagne bergamasche era in uso fino al secondo dopoguerra come ricostituente la cosiddetta “Acqua di Magnanimità (distillato di formiche, miele e vino), tanto che sappiamo da una fonte storica sicura come il frate Felice Passera ( famoso farmacologo) che Massimiliano I d’Asburgo ne beveva un calice prima di fare l’amore.
In Pratomagno la cosa era più semplice, perché ricordo che due manciate composte da formiche, soprattutto con le ali, ma comunque sempre da formiconi grossi, venivano gettate in una porzione di vino rosso, che agitata bene con un mestolo,era versata in una bottiglia poi tappata e dove la soluzione vinosa stagionava per 15/20 giorni. L’uso di questa soluzione era quello di disinfettare le piccole ferite da taglio ma soprattutto fare dei massaggi nelle articolazioni come ginocchi e spalle per alleviare i dolori dell’artrosi, o della”vecchiaia”, come comunemente veniva detto. Questo rimedio non è poi “campato in aria”, ma ha un fondamento scientifico che i poveri montanari sicuramente non conoscevano e la chimica da la spiegazione. Infatti le formiche sono molecole ambulanti di Acido Formico (HCOOH) che è il più semplice degli acidi carbossilici ed è un forte antibatterico. Le formiche usano per la propria difesa le loro riserve di acido formico come liquido urticante, l’acido formico è poi contenuto anche nei micro serbatoi sulla cima dei peli di cui sono fornite le foglie di ortica. Questo rimedio era comune a tutta la montagna del Pratomagno, Cocollo compreso, e sui paesi della provinciale dei Sette Ponti.
Molto più difficile e ancora forse da studiare è l’effetto del “Pane masticato o Pan mastucato”, che veniva usato spessissimo, tanto da essere il rimedio popolare più comune fra i ragazzi per eliminare il pus dalle ferite e dai graffi. Io ne ho fatto tantissimo uso da ragazzino. Questo rimedio consisteva nel masticare bene a lungo una midolla di pane riducendola alla consistenza della pappa, poi prima di andare a letto veniva applicata con una fasciatura non stretta alla ferita con pus. In genere la mattina dopo il pus non c’era più e la ferita o graffio cominciava a cicatrizzare. Poiché il pane masticato tendeva a seccarsi e quindi era difficoltoso toglierlo dalla ferita che spesso, in questa operazione si metteva a sanguinare, in genere insieme al pane mettevamo qualche goccia di olio d’oliva che impediva alla pasta di seccarsi. Alcune persone mescolavano la pasta con qualche granello di sale.
Il rimedio funzionava egregiamente anche in casi gravi in cui questo antico sistema veniva ripetuto più volte fino a completa guarigione. Molto probabilmente si può pensare che l’effetto medicamentoso sia dovuto ad una sostanza che si trova nella saliva umana e che si chiama “Lisozima”. Il Lisozima è un enzima scoperto nel 1922 da Alexander Fleming (lo scopritore della Penicillina) presente nei tessuti animali e dotato di proprietà antibatteriche. Si trova in concentrazioni elevate anche nell’albume dell’uovo.
Una cosa abbastanza strana era che se masticavamo molta più crosta (corteccia) che midolla, l’effetto medicamentoso diventava molto minore.
Testo di Vannetto Vannini