Nel tratto di sentiero che dalla Massa Ladronaja (il Masso – m 1401) porta al Varco alla Vetrice (m 1450), oggi sentiero CAI 20, appena sotto il crinale di P. Donna Morta (m 1418) e poi in quello del vicino e sovrastante P. Uomo Morto (m 1453), erano presenti e ben visibili due enormi cumoli di sassi che avevano pezzature non tanto grandi e peso, in genere, di pochi chilogrammi. Questi mucchi, costituiti da migliaia e migliaia di pietre, attiravano sempre l’attenzione di chi transitava in quel sentiero perché l’ubicazione delle due cataste era tale che non potevano essere ignorate; collocate appena sotto il filo di crinale erano posizionate nel territorio del Comune di Castelfranco di Sopra oggi Castelfranco /Piandiscò (Donna Morta) e nel territorio del Comune di Loro Ciuffenna (Uomo Morto).
Di questi grandi cumoli ne parla lo storico Maurizio Baldecchi in: “S. Andrea a Pulicciano nel Valdarno Superiore. Storia e vita di un popolo di montagna dalle origini al XVIII secolo” (pag.44). Purtroppo il passaggio del metanodotto negli anni ’80 del secolo scorso, ha portato alla dispersione dei due cumoli e con la loro scomparsa è venuta meno anche quella storia e quella leggenda popolare, che erano strettamente legate a queste cataste di pietrame.
L’esistenza di questi mucchi di pietre è legata all’origine dei toponimi Donna Morta e Uomo Morto, la cui leggenda si perde nella notte dei tempi. Dobbiamo inoltre tenere presenti le antiche vie di comunicazione fra il Valdarno Superiore e il Casentino, usate fino al XIX secolo come vie commerciali e di transumanza, mantenendo poi quest’ultimo aspetto fino al secondo dopoguerra; declassate a mulattiere e oggi riscoperte dagli appassionati di viabilità antica, molte sono diventate sentieri CAI con tanto di segnaletica e riportate nella carta 1:25000 del Pratomagno. Un’importante via di valico fra le due vallate dell’Arno è sempre stata quella che dal Valdarno (Pulicciano) saliva nei pressi di Poggio Montrago (m 1284) toccando il Masso Ladronaja per valicare, dopo P. Donna Morta e P. Uomo Morto, il crinale del Pratomagno al Varco alla Vetrice, chiamato anticamente Varco di Menzano. Da qui scendeva in Casentino verso Cetica; alcuni storici fanno risalire questo percorso addirittura all’epoca romana (Via Abaversa). Questa antica strada di valico è stata molto trafficata fino al secolo XIX, fra l’altro proprio sotto l’imponente Masso Ladronaja, (riportato su Terre Alte del nostro sito web) è collocato un grande segnavia di pietra riportante la data (1781) e l’indicazione stradale. Nel catasto lorenese del 1821 (Comunità Loro Ciuffenna – foglio 1- Sezione A- Rocca Ricciarda e Pratomagno) è riportata la strada con il nome di “strada casentinese” e la posizione del segnavia con la data scolpita.
La Massa Ladronaja
La leggenda popolare dice che durante l’inverno di un’epoca imprecisata, una donna e un uomo stavano attraversando il crinale del Pratomagno per portarsi dal Valdarno in Casentino. Non dovevano essere commercianti, in quanto durante la stagione invernale tutti i traffici di uomini, animali da soma e merci erano fermi, più verosimilmente potevano essere partecipanti ad un pellegrinaggio religioso verso qualche luogo di fede o verso un’abbazia, oppure potevano essere fuggitivi in cerca della salvezza in Casentino. Travolti da una tormenta di vento e di neve, la donna cadde morta nel luogo che fu poi chiamato Poggio Donna Morta e poco dopo cadde esanime anche l’uomo, su quello che poi sarà chiamato Poggio Uomo Morto. Da allora divenne doveroso lasciare una pietra nel punto esatto dove i due pellegrini trovarono la morte. Con il passare dei secoli i sassi lasciati dai viandanti in ricordo di queste sfortunate persone, diventarono veramente due grandi cumoli di pietre.
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La Croce al Fosso
È lecito pensare che gran parte dei sassi dei due cumuli saranno stati raccolti nei pressi del P. Donna Morta e del P. Uomo Morto, ma una parte di queste pietre sicuramente proveniva di lontano, in quanto avevano svolto la funzione di “sassi penitenziali” durante gli annuali pellegrinaggi che partivano dai paesi lungo la Setteponti per raggiungere i Bagni di Cetica (m 1148), dove ancora oggi è venerato San Romolo Martire, ritenuto il primo vescovo di Fiesole e della cui diocesi è il patrono.
A questo punto è bene mettere a fuoco questa antica tradizione dei pellegrinaggi che portavano a Bagni di Cetica numerosi gruppi di fedeli, tradizione che è continuata fino all’inizio della seconda guerra mondiale e che per i cumuli di sassi di P. Donna Morta e P. Uomo Morto ha interessato i pellegrini che partivano da quella fascia di strada dei Setteponti che va da Loro Ciuffenna a Castelfranco di Sopra, comprendente oltre ai due capoluoghi, i paesi con relative parrocchie di Montemarciano, Persignano/Malva, Piantravigne e Certignano.
I Bagni di Cetica, come riportato anche da un post di Terre Alte, sono stati molto conosciuti nei secoli passati, forse anche in epoca romana. I Bagni sono dedicati a San Romolo, il cui spirito, secondo l’antica tradizione popolare, fu l’ispiratore in data non precisata di un incontro proprio ai Bagni di Cetica fra San Giovanni Gualberto, San Romualdo e San Francesco. I tre Santi si dissetarono e benedissero le sorgenti, che da quel momento acquisirono particolari proprietà nel guarire alcune malattie. Le sorgenti che alimentavano i Bagni di Cetica scomparvero per un evento franoso nel 1205 per riapparire dopo quasi cinquecento anni nel 1686, acquistando di nuovo grande notorietà in Casentino e in Valdarno, sia per la proprietà delle acque che come luogo religioso, tanto che nel secolo XVIII fu costruita la chiesetta dedicata a San Romolo e a metà del XIX secolo l’attuale albergo.
Poggio Donna Morta
Sicuramente la tradizione di andare in pellegrinaggio dai paesi della Setteponti a Bagni di Cetica cominciò o riprese dopo il 1686 quando tornò il flusso dell’acqua, sia per venerare San Romolo e gli altri Santi che forse per un fattore umano in cui non era assente la curiosità di immergersi stanchi e sudati in un’acqua freddissima (7°C) con la convinzione che non sarebbe incorso nessun malanno, anzi un giovamento. Una volta all’anno, in estate, veniva organizzato da appassionati che gravitavano intorno alle parrocchie questo pellegrinaggio devozionale, che con il tempo prese anche l’aspetto penitenziale. Il periodo prescelto era quello estivo di fine giugno, non facendo però riferimento alla festa religiosa di San Romolo che cade il sei di luglio, ma soprattutto tenendo conto che in quel periodo la durata delle notti era minima e che la data stabilita era legata al plenilunio, per procedere in sicurezza di notte al lume della luna piena. Condizione essenziale era anche il bel tempo e guide affidabili che conoscevano bene il percorso da intraprendere. Per comodità in genere i partecipanti di Loro Ciuffenna (m 335) si univano con quelli di Montemarciano (m 276) che passavano dal monte Cocollo (m 881) proseguendo poi sul crinale verso la Croce al Fosso (m 1025), Montrago e oltre. Ai partecipanti di Persignano/Malva (m 300) si univano invece quelli di Piantravigne (m 270); nonostante il forte campanilismo paesano che divideva gli abitanti dei due paesi, i due gruppi partivano ritrovandosi insieme poco dopo la borgata di Odina (m 671) per dirigersi alla Quercia al Nibbio (m 678) evitando la vetta del monte Cocollo e una parte del crinale. Dalla Quercia al Nibbio passava quella che nel catasto lorenese del 1821 viene riportata come “Strada da Caspri a Modine”, che permetteva ai pellegrini di raggiugere il crinale presso il Varco di Serra (m 880) per proseguire alla Croce al Fosso, Montrago e oltre. Tratti dell’antica “Strada da Caspri a Modine” sono rimasti agibili fino agli anni ’70 del secolo scorso, fruiti soprattutto dai cacciatori che avevano come meta il Varco alla Vetrice, dove stanziavano alcuni giorni per la caccia ai colombi. Nel versante lorese questa strada è diventata oggi sentiero CAI 37. I partecipanti di Certignano (m 295) in genere si univano a quella di Castelfranco di Sopra (m 282) che salivano alla borgata della Lama (San Michele di Sopra) (m 605), Galligiano (m 681) e guadagnavano il crinale spartiacque a quota m 904, poi la Croce al Fosso per Montrago e oltre. Come si può capire dalla descrizione, il percorso diventava comune, per i paesi di quel tratto di Setteponti, da quota 904, poco prima della Croce al Fosso. La Croce al Fosso è un luogo importante dell’antica viabilità medioevale (oggi sentiero CAI 35); nelle vicinanze sgorgava dalla Fonte del Ramarro un’acqua purissima e fresca e c’è una croce che ricorda un evento sconosciuto accaduto in data sconosciuta, oltre alla presenza, a un lato del crinale, delle sorgenti del torrente Faella che sbocca nell’Arno e dall’altra parte del torrente Rigodi che finisce nel Ciuffenna (luogo riportato su Terre Alte nel nostro sito CAI).
I gruppi si immettevano successivamente nel sentiero di Montrago (oggi sentiero CAI 20), che toccando il Masso Ladronaja li portava al P. Donna Morta e P. Uomo Morto, dove venivano depositati i sassi poi, arrivando al Varco alla Vetrice scendevano al Varco di Gastra (m 1393) percorrendo il crinale (sentiero CAI 00) per raggiungere infine i Bagni di Cetica attraverso quello che oggi sono i sentieri CAI 29B e 29.
Prendendo in considerazione il gruppo che partiva dalla Setteponti presso Malva, i pellegrini lasciavano il paese verso le ore 19,00 dopo aver partecipato ad una funzione religiosa, e verso le ore 5,00 del mattino arrivavano ai Bagni di Cetica con sostanziose soste durante il percorso. Dormivano all’aperto alcune ore, partecipavano, se era possibile e se fra loro c’era un sacerdote ad una Messa officiata nella cappellina di San Romolo, poi passavano alcune ore riposando e chi voleva si immergeva nell’acqua. Posso dire comunque che a memoria paesana tramandata, erano pochissimi o addirittura nessuno (comitiva di Persignano/Malva- Piantravigne) coloro che facevano il bagno. Alle ore 11 della mattina si ripartiva per tornare a casa, il pranzo era consumato dopo qualche ora al Varco alla Vetrice, poi si scendeva alla Setteponti, arrivando a Malva intorno alle ore 19,00/20,00.
Questa tradizione del pellegrinaggio ai Bagni di Cetica fu molto sentita e rispettata fino alla fine degli anni ’20 del secolo scorso, già negli anni ’30 stava cominciando ad andare in disuso e i pellegrinaggi non erano più a cadenza annuale. Poi venne la seconda grande guerra.
Durante il percorso di andata, ma questo succedeva dopo aver sorpassato la Croce al Fosso che dista due ore di cammino in salita per arrivare ai cumoli, chi voleva fare penitenza trovava una pietra di un certo volume e la metteva nel tascapane (così chiamato allora lo zaino) e, appesantito, procedeva nel cammino fino a che le donne non lasciavano il sasso nel cumolo di P. Donna Morta, mentre gli uomini nel cumolo di P. Uomo Morto. Portare i sassi per espiazione era un modo antico di mortificare il fisico per fare penitenza, modalità che risale all’epoca pagana e che è durata fino a non molti decenni fa. Nel viaggio di ritorno era consuetudine invece farsi un segno della croce davanti ai due cumoli, senza lasciarvi nessuna pietra.
Con il passare dei secoli transitando comitive di pellegrini, boscaioli e mercanti, il cumoli di sassi di P. Donna Morta e P. Uomo Morto erano diventati imponenti, a testimonianza di un’antica tradizione che si era mantenuta nel tempo. Un giorno di alcuni anni fa, come scrive Maurizio Baldecchi nel suo libro: … un rumore assordante rimbombò nella vallata, la terra tremò, un “drago di ferro” si avvicinò, lanciò fumo e distrusse tutto quello che incontrò, i due cumoli di pietre scomparirono, e con loro una storia e una leggenda. Il metanodotto è costruito.
NB. Purtroppo dei due cumuli in questione credo non esista nessuna foto.
Testo e foto di Vannetto Vannini