Via dei Setteponti: muretti a secco o murelle

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Via dei Setteponti: muretti a secco o murelle

Un antico muretto a secco  con curva  nei pressi  di villa Belpoggio a Malva

L’UNESCO ha iscritto l’arte dei muretti a secco nella lista degli elementi immateriali dichiarati Patrimonio dell’umanità in quanto rappresentano “una relazione armoniosa fra l’uomo e la natura”.  Nella motivazione dell’Unesco si legge:

L’arte del dry stone walling riguarda tutte le conoscenze collegate alla costruzione di strutture di pietra ammassando le pietre una sull’altra, non usando alcun altro elemento tranne, a volte, terra a secco. Si tratta di uno dei primi esempi di manifattura umana ed è presente a vario titolo in quasi tutte le regioni italiane, sia per fini abitativi che per scopi collegati all’agricoltura, in particolare per i terrazzamenti necessari alle coltivazioni in zone particolarmente scoscese“.  

Prima della meccanizzazione agricola esisteva in Italia,  dalla Val d’Aosta alle montagne siciliane, comprendente la Valtellina, la costa ligure, la Garfagnana, il Chianti, le pendici marchigiane, i Castelli romani, l’Irpinia, la costa amalfitana, i primi rilievi pugliesi e calabresi, un’autentica  Italia ciclopica, conseguenza del lavoro di tantissime generazioni che avevano faticato  sodo  nel creare lo spazio per ricavare venti  staia di grano e un orcio d’olio, che costituivano sicurezza alimentare e quindi certezza di vita. D’altra parte sappiamo che dal Medioevo ma soprattutto dagli splendori del Rinascimento, la civiltà italiana è stata civiltà di collina, in un Paese in cui le pianure erano prevalentemente invase dalle acque e di conseguenza malariche. Quest’Italia dei muri a secco, creati per sostenere i terrazzamenti in parte è già stata cancellata dagli elementi naturali, dalla mancata manutenzione dovuta all’abbandono dei terreni, o come nel Chianti dal lavoro delle ruspe per creare vigne adatte all’agricoltura meccanizzata. A monte della nostra Setteponti non ci sono stati grandi stravolgimenti nella geografia degli appezzamenti agricoli, anche dopo la crisi della mezzadria e la conduzione diretta dei terreni da parte delle fattorie, sono rimasti terrazzamenti e ciglioni sostenuti da greppi in parte nudi e in parte da muretti a secco, che i nostri nonni chiamavano murelle. Su tutto il percorso della Setteponti l’opera più significativa dell’arte dei muretti a secco è data dalla Vigna delle Sanzioni   nella zona di Gropina, un capolavoro di ingegneria povera contadina a cui dedicheremo su Terre Alte un post specifico. Si può dire che anche in un semplice muro a secco di confine esiste un principio d’ordine di base, in quanto fra le pietre si stabilisce un contatto che genera equilibrio perciò il muro diventa struttura, l’equilibrio della struttura è dato dal peso dei sassi sovrapposti incastrati che si contrappone cercando di annullare o quanto meno ridimensionare le forze che dall’interno spingono verso l’esterno, soprattutto quando piove, pregiudicando la staticità dell’opera. In tutti i paesi lungo la Setteponti esistono ancora persone che sono dei veri maestri per la costruzione dei muri a secco, maestri che hanno imparato quest’arte povera di edilizia contadina per necessità fin da piccoli e che trasmettono la tecnica alle persone più giovani. In Italia, già prima che l’arte dei muri a secco diventasse Patrimonio dell’Umanità, in molte regioni fra cui la Toscana, hanno preso avvio frequenti corsi formativi gratuiti per apprendere le nozioni di base necessarie alla costruzione di questi muri.

Un vecchio muro a secco nei pressi della Setteponti a Malva. Il muro, più basso del filare di olivi, crea una “proda” per dare sfogo alle radici delle piante senza creare problemi di stabilità al muro

La costruzione degli antichi muri a secco era completamente realizzata con sassi di varia forme e pezzatura in genere reperibili in loco durante gli scassi del terreno che avvenivano in contemporanea alla costruzione dei muri e alle opere di regimazione idraulica, scassi profondi in genere un metro e indispensabili per la piantagione successiva di viti o ulivi.  Solo se necessario si effettuava il trasporto delle pietre mancanti da altri luoghi vicini, a spalla o con carriola e con grande fatica, considerata la difficile accessibilità di molte aree. Veniva effettuata poi una lieve o marcata sbozzatura soprattutto a quelle pietre posizionate agli angoli o nelle curvature e i muri presentano spessore e una modesta pendenza a scarpa verso l’interno variabile in funzione dell’altezza.

In genere il muro veniva affondato nel terreno per circa 20/30 cm e i sassi utilizzati avevano una pezzatura diversa   impiegando massi e pietre più grosse e piane   nella parte inferiore   che fungendo da base, reggeva poi tutto il peso dell’opera. La stessa base veniva e ancora oggi viene costruita con una base larga circa settanta cm e con una diminuzione progressiva dello spessore che raggiunge i 25/30 cm nella parte sommitale. Nella superficie del muro, ma soprattutto nella parte inferiore più larga erano e sono determinanti la posizione di certe pietre molto lunghe che messe sia orizzontali che verticali   avevano il compiti di collegamento fra le varie fasce di pietre.  Una leggera pendenza verso l’interno è comune a tutte queste opere e serve a contrastare meglio le spinte dirompenti che provengono dall’interno soprattutto quando sono in atto temporali. Lo scolo delle acque pluviali è importantissimo per la stabilità dei muri a secco ed è per questo che nella superficie dei muri sono frequenti dei punti che permettono l’uscita dell’acqua.  Importanti i lavori di regimazione idraulica come la costruzione di fossette e solchi nel suolo del terrazzamento, a monte del muro, che permettono di concentrare il flusso dell’acqua piovana secondo direttrici sicure senza arrecare danno ai muri.  In zone agricole interne anche lontane da stradelli di comunicazione, il tessuto murario presenta sempre in modo regolare dei piani orizzontali di posizionamento delle pietre, in quanto i sassi   erano   sempre messi con una certa linearità, lasciando in diversi punti fra le pietre un po’ di spazio che facilita il drenaggio e che con il tempo veniva riempito dalla terra trascinata dall’acqua. Una particolare cura era messa nella costruzione dei muri a secco in appezzamenti di terreno confinanti con le strade comunali o provinciali perché le norme allora vigenti, in caso di smottamento sulla strada, prevedevano che fosse il proprietario del terreno franato a rimettere a posto la frana in breve tempo. È per questo che lungo la nostra Setteponti si vedono muri a secco confinanti con pietre a volte perfettamente squadrate e posizionate in modo ordinato e lineare. Durante la costruzione del muro, nella parte interna è sempre stato cercato il sistema di evitare il contatto diretto fra le pietre e la terra a monte, creando   un deposito interposto   di piccola pezzatura di pietrame.  In questa intercapedine, come deposito quando era possibile, venivano impiegati piccoli ciottoli di “sasso matto” un’arenaria marrone, fragile   con poco legante e molto reperibile nelle nostre zone, ma soprattutto si cercava di usare pezzetti   di “biscia io” conosciuto con il nome di “sguisciai”, una varietà di calcare marnoso con affioramenti frequenti nei terreni sopra alla Setteponti.  Il deposito interposto di bisciaio o altre piccole pietre ha sempre avuto la funzione di facilitare il drenaggio dell’acque disperdendole, attenuando    così la spinta d’urto idraulica sulle pietre in caso di forti piogge.  In un greppo che regge un pianello coltivato ad olivi, il muro a secco in genere interessava in altezza la metà del greppo o poco più e l’altra metà era lasciata a nudo (a terra), questo per impedire con il passare del tempo che le radici degli olivi che tendono a svilupparsi molto in larghezza e poco   in profondità, non venissero a contatto con le pietre del muro, in quanto   avrebbero generato nella struttura una forte spinta verso l’esterno compromettendone la stabilità. Questa terra ai bordi del terrazzamento, fra olivo e olivo, che veniva lasciata libera era ed è ancora chiamata “proda”, ed è la piccola superficie di terra dove ai mezzadri era concesso di mettere, a debita distanza dalle piante, il giaggiolo che veniva sbucciato negli assolati pomeriggi di agosto quando il lavoro nei campi era fermo, giaggiolo che non veniva diviso con il proprietario del fondo. Lungo la Via dei Setteponti, poco prima della seconda guerra mondiale, l’opera più imponente costituita da muretti a secco è stata, come accennato, la Vigna delle Sanzioni presso Gropina. Nell’immediato dopoguerra (1947/8), sempre nel comune di Loro Ciuffenna, appena sopra al paese di Malva, furono edificati una gran quantità di muri a secco di sostegno a nuovi terrazzamenti a olivi nelle diverse proprietà della fattoria di Santa Maria, un lavoro razionale fatto con grande maestria e che resiste bene al logorio del tempo.

Un  muro a secco sul vecchio, dismesso   tracciato granducale della Setteponti nei pressi di Poggitazzi. Fino alla metà del secolo scorso in questo punto esisteva lo storico Madonnino di Bellavista, riportato nel catasto lorenese del 1821 e punto di riferimento su un importante diverticolo della Setteponti

La funzione dei muretti a secco non riguarda solo la difesa del suolo e l’originalità di un paesaggio fatto dall’uomo, ma interessa anche l’ecosistema in quanto nelle fessure interne ai muri a secco pulsa una vita frenetica dovuta alla presenza di una microfauna ricca di insetti, piccoli rettili e anfibi che vi abitano in modo permanente operando spontaneamente e in sinergia con l’agricoltura, contribuendo al mantenimento di un ambiente sano e privo di parassiti. Inoltre la rugiada che si trasforma nelle fessure in umidità e l’umidità stessa del drenaggio, creano una condizione microclimatica interna alle pareti dei muri che favorisce la crescita di numerose specie botaniche, che nelle fessure trovano il loro habitat ideale.

Muretti a secco sopra la Setteponti. Gli olivi sono stati piantati a debita distanza dai muri, perché le radici in espansione non possano danneggiarli

Si può dire che la costruzione dei muri a secco è quell’arte dove le pietre non dormono mai, sempre sollecitate dalle forze interne a monte della struttura e fa parte di quella antichissima tradizione che è stata per secoli e ancora rimane fra i cardini dell’utilità e della bellezza del paesaggio italiano e anche del territorio a monte della nostra bella Via dei Setteponti.

                                                                                      Testo e foto di Vannetto Vannini

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