Testo e foto di Vannetto Vannini
Fino al secondo dopoguerra esisteva un rapporto ancestrale, quasi metaforico fra chi frequentava la montagna e le sorgenti presenti lungo i percorsi montani, rapporto che al raro escursionista faceva portare nello zaino, allora chiamato tascapane, un gavettino di metallo per bere alle sorgenti al posto dell’odierna bottiglia d’acqua.
Oggi questo legame si è rotto per diversi motivi, quali l’assidua frequentazione della montagna con conseguente inquinamento che ci ha portato all’uso abnorme di acqua minerale conservata in contenitori leggeri di polietilene (PET) e il culto della bottiglia di plastica ha sostituito quello della sorgente. Dalla metà del secolo scorso la sete dei frequentatori della montagna ha assunto un significato esclusivamente fisico, poiché l’arcaica e infinita ricchezza di contenuti quasi romantici e per molti versi misteriosi dell’acqua che sgorga copiosa e cristallina dall’interno della montagna è venuta meno.
Purtroppo gran parte delle sorgenti non sono controllate e bere a una di queste, anche se utilizzata da sempre dai montanari, può veramente presentare dei rischi reali perché la potabilità è garantita esclusivamente da un’adeguata protezione della falda acquifera e da controlli analitici costanti nel tempo. Il problema della qualità delle acque di montagna, in particolare dal punto di vista microbiologico, è comune alle acque di tutto il mondo e non è da sottovalutare anche nel Pratomagno, la montagna di casa nostra.
Proprio in Pratomagno, nel versante casentinese Comune di Castel San Niccolò, a quota 1490 circa, poco sotto la grande croce di ferro di quota 1592, da sempre scorga la Fonte del Duca, una fonte storica che è stata per secoli un punto di riferimento importante sia per i montanari che i carbonai e i frequentatori della zona.
Storicamente sappiamo che gran parte della montagna apparteneva, fino a metà del XV secolo, ai Conti Guidi che vi facevano pascolare dai loro servi numerose mandrie di mucche e greggi di pecore, inoltre davano in affitto grandi distese di pascoli alle varie comunità e ai privati. Molto probabilmente i montanari chiamavano quella fonte “Fonte del Duca” perché nella proprietà dei Conti Guidi, non facendo una esatta distinzione fra i titoli nobiliari.
Per chi arrivava alla vetta più alta del Pratomagno da qualsiasi direzione, la bevuta alla fonte del Duca era d’obbligo. Inoltre nel gruppo c’era sempre qualcuno che, riempito un fiasco di quelli ricoperti di vimini fino alla bocca e all’andata pieno di di vino dolce o una bottiglia di vetro spesso a chiusura con tappo di ceramica a scatto, riportava a casa ai familiari, quasi fosse un trofeo, inteso quasi come attestazione di essere arrivati alla vetta, l’acqua di quella fonte.
Fino a gli anni ’60 nella zona della Setteponti, confine importante fra il piano e la montagna, si diceva che l’acqua della Fonte del Duca era inconfondibile e riconoscibile fra tante altre acque perché aveva la proprietà di essere leggerissima. L’analisi chimica ha confermato poi questa caratteristica; soprattutto ricordo bene la differenza di gusto fra questa acqua di montagna che ha una durezza e mineralizzazione molto bassa e quella potabile dei nostri condotti comunali della Setteponti che, provenendo dal profondo del sottosuolo, è sempre stata un acqua dura. Si può dire che prima dell’inaugurazione della Croce (1928), la Fonte del Duca era la testimonianza più famosa e conosciuta del Pratomagno.
Da molto tempo questa fonte non ha più la sorgente libera in quanto è stata captata e con una conduttura l’acqua è stata portata in basso, a quota 1280 e nei pressi dei focolari sono state realizzate in muratura alcuni fontanili. Sicuramente l’acqua verrà controllata periodicamente. Della vecchia sorgente libera sotto la Croce a una quota poco meno di 1500 metri non resta nessuna traccia se non nelle vecchie carte topografiche. A noi escursionisti ormai senili, che tantissime volte abbiamo bevuto a volontà a quella fonte libera, un po’ è dispiaciuto.
Nel novembre 2004 la Regione Toscana ha stampato il libro “Sentieri e sorgenti dei monti toscani”, alla stesura del volume hanno partecipato “La Toscana per l’ambiente” e l’associazione di trekking fiorentina “Il Valico”.
A pagina 43, oltre alla carta 1:10000 con la descrizione per raggiungere la Fonte del Duca dalla Trappola, vi è la scheda analitica di un prelievo effettuato il 25/09/2003, appena trascorsa l’estate quando un eventuale inquinamento microbiologico avrebbe dovuto essere al massimo.
Dalla scheda analitica si deduce una buona portata (24 L/m) e un idoneo impiego potabile. I dati dell’analisi chimica, sia per quanto concerne la durezza (6,5°F) che il residuo fisso (57,7 mg/L), la bassa conducibilità elettrica e tutti gli altri fattori analitici confermano che l’acqua della fonte del Duca è molto leggera, quella leggerezza che avevano capito bene i nostri nonni e che rendeva l’acqua di questa fonte molto famosa e apprezzata lungo la Setteponti, tanto da essere usata come termine di paragone. Inoltre è un acqua caratterizzata da un basso livello di nitrati (1,4 mg/L NO3) e ciò indica, come riporta il volume della Regione Toscana” … una buona protezione da infiltrazioni di sostanze azotate rilasciate da animali al pascolo e generalmente una localizzazione dei relativi acquiferi fuori da zone con possibili inquinanti”.
Bere a volontà è fondamentale per un’adeguata reidratazione dopo uno sforzo fisico intenso e l’acqua della fonte del Duca assolve bene questo compito. Inoltre questa antica sorgente, anche se leggermente deviata dal luogo originario, ci parla di storia recente e lontana che ci interessa direttamente perché fa parte delle tradizioni e della cultura della montagna di casa nostra.