La raccolta delle coccole di ginepro in Pratomagno

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La raccolta delle coccole di ginepro in Pratomagno

Per un’economia debole e povera come quella esistente nella nostra montagna del Pratomagno, lo sfruttamento del   bosco ha sempre garantito un introito importante che, sommato al reddito di una agricoltura povera, all’allevamento ovino e dei bachi da seta, ha permesso fino allo spopolamento del secondo dopoguerra, la sopravvivenza delle popolazioni montane. Nella terminologia montanara il significato della   parola “selva” era ben diverso dal significato della parola “bosco”, in quanto per selva veniva e ancora viene inteso solo un appezzamento di terreno riservato alla coltivazione dei   castagni, i frutti che hanno fornito per secoli la materia prima alimentare in sostituzione del grano.  Per bosco invece viene inteso un appezzamento di terreno fitto di alberi e cespugli (sottobosco) dove era possibile esplicare tante attività come   tagliare legna da ardere, ricavare travi, carbone, fare maggiatiche per la coltivazione, soprattutto di piccoli quantitativi di giaggiolo, cercare i funghi, raccogliere ghiande. Fra le due grandi guerre importante fu la raccolta delle ginestre che venivano inviate alla fabbrica di Terranuova Bracciolini per fare un tessuto autarchico con cui furono fatte le divise dei nostri soldati che affrontarono poi i rigori dell’inverno greco/albanese, slavo e russo.

 Fino dalla metà del secolo XIX venivano raccolte le coccole di ginepro nel contesto   di piccole attività (il carbone non era considerato fra queste richiedendo alla base tutta un’organizzazione precisa e molto tempo), che messe insieme permettevano ai montanari di portare avanti   un’esistenza molto dura ma dignitosa e da sempre legata allo sfruttamento del territorio e per molti all’emigrazione stagionale in Maremma. Da notare che nella nostra montagna l’economia rurale e forestale era costituita in genere dalla piccola proprietà e non dalla mezzadria. Negli stretti terrazzamenti strappati alla collina che poi diventa montagna, fino ad una certa quota venivano e vengono tutt’oggi coltivati gli ulivi in filare, mentre nel terreno era seminato un po’ di grano spesso insieme alla segale perché sono cereali che maturano nello stesso periodo. Era seminato anche l’orzo per le bestie di allevamento, orzo che matura in un periodo diverso dal grano e dalla segale e fra l’altro una volta tostato sostituiva il caffe; ma sono state le patate il prodotto più importante dell’agricoltura della nostra montagna fin dai primi decenni del secolo XIX.  Nella zona di Rocca Ricciarda si coltivava fino ai primi anni del secondo dopoguerra una patata buonissima detta la “Pisana” di cui è stato perso il seme. Importante poi la cultura della mela, soprattutto della mela nesta che altro non è che la mela “decia” dell’antica Roma e la mela Francesca, una mela tipica del nostro Pratomagno molto resistente alle malattie come ticchiolatura e baco. La specificità di queste mele, riportate in un precedente post di Terre Alte, è che si conservavano e si conservano   fino a giugno.

La pianta di ginepro da sempre è presente nella nostra montagna soprattutto nel versante valdarnese esposto a sud, sia nei terreni demaniali che in terreni privati. Pianta delle Cupressacee (come i cipressi, ma anche le sequoie), sotto il termine ginepro si celano in realtà molte specie di questa pianta, di cui solo alcune varietà producono bacche commestibili.

Di dimensioni molto variabiliil ginepro può presentarsi nella come un arbusto di appena un metro (Juniperus communis, il ginepro comune), oppure a forma di albero. Il nome ginepro deriva dalla parola celtica juneprus che significa “acre” e il detto “trovarsi in un ginepraio” si riferisce ai rami intricati del ginepro e alle sue foglie pungenti per indicare metaforicamente una situazione difficile e problematica.

 La raccolta delle coccole di ginepro era stagionalmente un lavoro che impegnava ogni anno diverse famiglie della montagna e che si è protratto dal secolo XIX   fino a circa   40 anni fa. La raccolta è scomparsa   quando è finita la generazione nata intorno agli anni della Grande Guerra e che metteva in conto per qualsiasi lavoro in montagna il disagio e la fatica. Vi sono state inoltre ragioni commerciali   che hanno determinato alla fine degli anni ’80 del secolo scorso   la scomparsa della raccolta delle coccole o bacche di ginepro che vengono usate per la fabbricazione del gin ed esportate in Olanda e in Inghilterra.  La coccola di ginepro veniva raccolta in settembre e ottobre su tutto il versante valdarnese del Pratomagno e dell’’importanza di questo prodotto ne parla anche Don Basilio Fabbri, ultimo parroco di Modine, nel suo libro “Loro Ciuffenna e il Pratomagno” edito nel 1996.  La “coccola” (o galbulo) è un piccolo frutto carnoso che, giunto a maturazione è ricoperto da una sostanza naturale che lo preserva chiamata pruina e assume l’aspetto di una grossa bacca bluastra dall’aroma caratteristico. Le bacche giungono a maturazione nel giro di 2 anni, cambiando colore da verde a viola scuro. Restano appese all’albero 2-3 anni, per questo motivo ogni ramo presenta contemporaneamente bacche mature e bacche acerbe ancora di colore verde.

Nella produzione del gin, la cui etimologia deriva proprio da ginepro e il liquore è un distillato di cereali e patate, la coccola è elemento essenziale perché dona sapore e aroma. Le bacche di ginepro danno al distillato il tipico profumo e sapore facilmente riconoscibile. Il disciplinare dell’Unione Europea del 2008 prescrive che il sapore del ginepro debba essere predominante in questo liquore

Fra le difficoltà incontrate da sempre e fino agli ultimi decenni   nella raccolta della coccola, vi era la lontananza dei boschi di ginepro dalle abitazioni e il trasporto in paese della coccola raccolta per chi non aveva mezzi di trasporto come il mulo o il somaro. Fino agli anni ’60 del secolo scorso gli abitanti delle borgate montane, molto spesso, si organizzavano e partivano insieme verso i boschi di ginepro, privati o demaniali, pernottando alcuni giorni fuori in capanne di carbonai. Nella squadra vi erano sempre alcuni muli che poi trasportavano al paese il raccolto. Con la costruzione in montagna di strade di servizio come quella che porta sulla vetta di Montrago   costruita nel 1964, la via Panoramica e altre strade forestali e con l’utilizzo anche di auto come la mitica Fiat 500 e di piccoli trattori, molte problematiche di lontananza e di trasporto furono risolte e negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso si ebbe un incremento sostanzioso della raccolta.

Per staccare le coccole dalla pianta venivano usati dei rastrelli di legno fabbricati dagli stessi montanari, durante questa operazione occorreva essere attenti a non danneggiare le coccole ancora acerbe che sarebbero maturate l’anno successivo. Portate a casa, le coccole veniva distese in strati sottili, così si asciugavano se bagnate. Occorreva fare attenzione che non si innescasse la reazione chimica di fermentazione e per questo venivano   tenute in ambienti freddi e controllate giornalmente e si preferiva venderle poco dopo la raccolta. Una raccolta media di coccole arrivava ad alcuni quintali di peso.  I commercianti che compravano le coccole erano gli stessi che acquistavano il giaggiolo e quando il mercato del giaggiolo fu interamente assorbito da una cooperativa di produttori con sede a Montevarchi che non acquistava le coccole, questa produzione si spense, sia per mancanza di acquirenti che di raccoglitori.

Nel nostro Pratomagno, valdarnese e casentinese, in media venivano raccolte circa 500 quintali di coccole, che negli ultimi anni venivano pagate anche 300.000 lire al quintale.

Per qualche secolo o più, la raccolta delle coccole di ginepro rappresentò un modesto introito della nostra montagna, che integrava quelli ben più remunerativi del giaggiolo e del carbone, ma che contribuì al sostegno di una economia povera dove tutto era finalizzato allo sfruttamento intensivo del bosco e del territori

 Foto e testo di  Vannetto Vannini

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