Quando la chiesa cattolica dichiara “Beato “ un cattolico defunto, riconosce l’ascensione di questa persona al Paradiso e la conseguente capacità di intercedere a favore di fedeli che lo pregano. La beatificazione è una tappa obbligata per il futuro processo di canonizzazione in cui il beato diventa santo.
A Raggiolo, nella montagna del Pratomagno è ancora ricordato il Beato Guido, un frate domenicano nato proprio a Raggiolo che esercitò nel convento di San Marco, poi in quello di Santa Maria Novella di Firenze dove ricopriva la carica di “maestro dei novizi” e di sottopriore intorno all’anno 1390. Un personaggio religioso molto stimato e ascoltato dalle autorità di cui però sappiamo poco, anche se esiste una piccola biografia scritta all’epoca da un altro frate domenicano, priva però di una rigorosa ricostruzione storica degli avvenimenti a cui prese parte il Beato Guido.
Sappiamo che Il Beato Guido si inserisce nei fatti storici di fine secolo XIV che movimentarono la vita degli abitanti del castello di Raggiolo e che avrebbero portato alla distruzione totale del castello, se nella zona non vi fossero state alcune attività dove si lavorava il ferro producendo armi, attività importante che però poteva essere persa se il castello veniva distrutto e gli abitanti dispersi.
I Conti Guidi, che erano i signori di Raggiolo nel secolo XIII e vi dimoravano con una piccola corte favorirono l’istallazione di queste piccole attività metallurgiche che lavoravano il ferro proveniente dalle ferriere della montagna pistoiese e che arrivava a Raggiolo a dorso di mulo attraverso una serie di sentieri lungo la dorsale appenninica. Il motivo perché questa attività sorse in quella zona del Casentino è da ricercare nella possibilità di usare la forza idraulica per muovere i magli, forza idraulica dovuta alla azione dell’acqua dei torrenti Teggina e Barbozzaia che scendono impetuosi dal Pratomagno.La storia della siderurgia casentinese è ancora tutta da studiare e scoprire, di certo sappiamo che zone di montagna come Raggiolo con tutta la valle del Teggina, oltre a una economia di base silvo-pastorale, erano dei veri distretti industriali per l’epoca. A Bibbiena sappiamo che in quel periodo esisteva addirittura un “borgo dei fabbri”, a Pagliericcio, sotto Cetica, nella valle del Solano era famosa la “Ferriera di Pagliericcio”, che ha tramandato fino ad oggi la tradizione di costruire utensili in ferro e in acciaio, vicino a Talla, fino a l secondo dopoguerra è stata in attività la “ferriera del Bonanno”. Anche nel Valdarno, a Loro Ciuffenna, c’è ancora una struttura chiamata “La Ferriera”, con la tipica architettura del fabbricato industriale, dove mediante la forza idraulica fornita dal torrente Ciuffenna venivano messi in movimento magli e altre macchine.
A Raggiolo dopo i Conti Guidi vennero gli Ubertini, poi i Tarlati di Arezzo i quali furono scacciati a furor di popolo e sostituiti dai fiorentini nel 1357 , ma nel 1390 i raggiolatti si ribellarono a Firenze per le troppe tasse imposte e nel 1391 la Repubblica Fiorentina mandò un contingente di armati per riconquistare il castello. Il castello fu preso con la forza, diverse abitazioni vennero distrutte, furono impiccati 14 abitanti del paese e 200 furono presi prigionieri e portati a Firenze, però il paese non fu raso al suolo come era prassi in queste situazioni e le fabbriche d’armi non subirono danni.
La vita dei prigionieri di Raggiolo in mano a Firenze era molto dura, soprattutto per chi non poteva essere riscattato con denaro dai familiari ed è in questo contesto che si inserisce l’azione di frate Guido.
Frate Guido appare come l’uomo giusto al momento giusto in quanto prende a cuore la situazione dei suoi compaesani prigionieri e chiede al governo della Repubblica fiorentina che questi fossero rilasciati liberi di tornare alle loro case. Frate Guido, in odore di santità per la popolazione di Firenze e quindi molto ascoltato dai governanti, ottenne che tutti i prigionieri tornassero a Raggiolo, molti dei quali a lavorare nelle ferriere e produrre armi per Firenze.
Da mettere in evidenza che Frate Guido è “Beato” solo per la gente di Raggiolo, in quanto non risulta che l’Ordine domenicano abbia mai chiesto di istituire un processo di canonizzazione. Possiamo benissimo pensare che davanti alla figura del Beato Guido, siamo di fronte a uno di quei religiosi “ beati o santi a furor di popolo”, come ve ne sono altri nel Medioevo, personalità venerate dalla popolazione di montagna e rurale che non avvertiva il bisogno di una “certificazione” da parte delle autorità religiose di Roma.
Foto e testo di Vannetto Vannini.