Castelfranco di Sopra: la Sorgente dell’Acqua Zolfina e il Sentiero CAI 51
Sul sentiero CAI 51 che costituisce un percorso ad anello fra Castelfranco di Sopra e Botriolo, da sempre scaturisce una vena di acqua solfurea conosciuta come sorgente dell’Acqua Zolfina. La polla, segnalata molto bene con cartellonistica, è ben visibile appena attraversato il torrente ma già la prima indicazione è data da un leggero odore di uova marce tipico della presenza di acido solfidrico e i sassi intorno alla sorgente sono coperti di una patina biancastra. La fonte è una fonte storica per la gente della Setteponti che abitano nei pressi del tratto stradale da Malva fin dopo Castelfranco di Sopra, sopra e sotto la provinciale.
Fino dagli anni ‘60 del secolo scorso era usanza in molte famiglie della zona, fare uso dell’acqua di questa sorgente come bevanda durante i pasti, anche se da nessuno era stata fatta analizzare per capirne la potabilità. Si usava come bevanda durante tutto l’anno, ma soprattutto nel periodo estivo e, posso assicurare che in certe serate, nonostante la non facile ubicazione della sorgente, occorreva mettersi in coda per riempire fiaschi e bottiglie per il consumo familiare. Oltre che per bere, fra la gente della Setteponti vi era la tradizione di usare quest’acqua per lavare alcune parti del corpo dove la pelle presentava screpolature e ricordo bene una mattina di aver trovato sopra la sorgente una persona della montagna che era venuta a prelevare l’acqua usando l’asino, al cui basto pendevano due barlette che erano recipienti tipici di legno simili ai barili, usati dai carbonai per prelevare e mantenere l’acqua durante la stagione del carbone. Una volta messa l’acqua in fiaschi o bottiglioni, questi venivano subito tappati perche la parte solfidrica solubilizzata nel liquido è molto volatile, per cui l’acqua, in recipiente aperto tendeva e tende in breve a perdere il classico sapore. Un uso frequente che veniva fatto da molti durante il pasto era di mescolare l’acqua zolfina al vino.
La quantità di acqua che scaturisce dalla sorgente è di qualche decina di litri al minuto e la temperatura di circa 16°C, sia in estate che in inverno; da notare che il flusso, che varia poco fra l’estate e l’inverno, è rimasto sempre in linea con quello che la sorgente aveva negli anni ‘50 e ‘60. Con il passare degli anni la tradizione di usare come bevanda l’acqua zolfina durante i pasti si è persa completamente.
Indubbiamente c’è una spiegazione scientifica per la presenza di questa sorgente solfurea sul bordo sinistro del torrente che ha preso il nome di Borro dell’Acqua Zolfina. E ‘sempre difficile dare “a tavolino” una risposta risolutiva, perché per ogni fenomeno naturale si devono avere dati sperimentali per essere studiati e interpretati e ricavati da analisi chimiche. Nonostante la mancanza di studi specifici, è sicuro che ad una certa profondità in quel sottosuolo è presente uno spesso strato roccioso contenente solfati, solfiti, tiosolfati sicuramente di calcio e in quantità minore di magnesio e altri; il Solfato di Calcio (CaSO4) è una sostanza molto comune ed è il gesso. Questo strato di gesso viene attraversato dall’acqua che tende a risalire in superficie, provocando una reazione chimica di riduzione, che trasforma lo ione solfato in ione solfuro (o meglio HS-) che emana il caratteristico odore di uova marce.
L’innesco della reazione di riduzione può essere prodotto da alcune circostanze di cui parleremo, partendo dalla condizione meno probabile a quella più possibile.
1) La reazione chimica di riduzione da solfato ad acido solfidrico è catalizzata dalla pressione ma soprattutto dalla temperatura dell’acqua che attraversa lo strato di solfato, di solfito o tiosolfato, che siano essi mescolati o no. L’acqua può diventare molto calda, addirittura anche allo stato di vapore, a causa di un fenomeno vulcanico presente nel nostro sottosuolo, ma la situazione geologica e la storia geologica del Valdarno rende molto improbabile, quasi da escludere a priori, questo tipo di causa. L’acqua poi, solubilizzato l’acido solfidrico, nel risalire dal profondo del sottosuolo si raffredda a causa del “gradiente geotermico terrestre” che è di circa 30° C per km (si riscalda quando penetra e si raffredda quando sale in superficie).
2) L’acqua piovana viene in parte convogliata nel reticolo idrografico superficiale (fiumi, torrenti, laghi), ma una certa quantità, non trascurabile, penetra nel suolo e raggiunge la roccia. Quest’ultima essendo nella maggioranza dei casi molto fratturata, risulta permeabile. L’acqua piovana infatti si infiltra nelle migliaia di fratture che si sviluppano nel sottosuolo sino a raggiungere grandi profondità e il viaggio di quest’acqua è lungo e tortuoso. Nel loro lento cammino sotterraneo le acque piovane mutano dal punto di vista chimico poiché scorrono a contatto con rocce connotate da un determinata composizione chimica. Per una parte di queste acque il viaggio è breve o relativamente breve in quanto dopo poco sgorgano alla luce del giorno sotto forma di numerose sorgenti disseminate lungo le nostre valli; ma per una seconda parte il viaggio di discesa nelle viscere della terra ha termine solo in corrispondenza di quello che viene definito in geochimica il “serbatoio”. Durante la discesa nel sottosuolo le acque si riscaldano secondo il gradiente geotermico terrestre. Successivamente queste acque molte calde, per vari motivi iniziano a risalire il sottosuolo attraversando lo strato roccioso di solfato di calcio, innescando la reazione chimica di riduzione e portando solubilizzato in superficie tracce di acido solfidrico. Durante la risalita del sottosuolo perdono calore in base al gradiente geotermico terrestre che è stato calcolato in 30°C ogni km di risalita e escono in superficie fredde. Questo processo è abbastanza attendibile nel caso della nostra sorgente di acqua zolfina.
3) Ma forse, nel nostro caso, il processo più probabile è quello chimico-biologico che si sviluppa nel sottosuolo durante il passaggio dell’acqua attraverso lo strato roccioso di solfati e in mancanza di ossigeno. I composti dello zolfo finiscono in fase acquosa e poi sono ridotti ad acido solfidrico (H2S) tramite azione anaerobica del batterio Desulfovibrio desulfuricans,un batterio che ha la proprietà di ridurre i solfati e si trova generalmente nel suolo e nelle acque. Se questa fosse la spiegazione della presenza della sorgente nell’omonimo borro, tutto diventa più semplice e può darsi benissimo che lo strato roccioso di solfato non sia ubicato a elevate profondità nelle viscere del sottosuolo, ma abbastanza superficiale.
Interessante è capire la sostanza di cui è composto il leggero strato biancastro che ricopre i sassi nelle immediate vicinanze della sorgente e qui basterebbe una semplice analisi chimica qualitativa, che credo non sia mai stata fatta. In assenza di analisi si esclude subito che quella patina sopra i sassi sia un ossido, soprattutto ossido di calcio (CaO) e altri ossidi in quanto con l’acqua, immediatamente darebbero luogo ad una reazione alcalina con conseguente formazione soprattutto di idrossido di calcio (Ca(OH)2 = Calce idrata) che viene subito solubilizzato nell’acqua. Molto più facile potrebbe essere carbonato, forse di calcio (CaC03)insieme a tracce di carbonati presenti come quello di magnesio (Mg C03), per di più potrebbe anche essere solfato di calcio, che sciolto in maggiore quantità nell’acqua ad un temperatura più alta riprecipita non rimanendo in soluzione una volta che l’acqua si raffredda (un po’ come lo zucchero sciolto nel caffè). Poiché questa patina in qualche punto non è proprio bianca, ma tende al giallastro-grigio, non è sbagliato pensare che vi sia anche dello zolfo ottenuto per l’ossidazione all’aria dell’acido solfidrico secondo la seguente reazione chimica: H2S + ½02= S+ H20. Un’analisi chimica qualitativa toglierebbe qualsiasi dubbio in proposito.
Il sentiero CAI 51 delle Balze o dell’Acqua zolfina è un sentiero storico che merita di essere raccontato. Con uno sviluppo di circa 7 sette km, un dislivello in salita di 200 m e un tempo di percorrenza di due ore e mezzo, collegato con un’appendice al caratteristico paesino di Piantravigne altrimenti questo abitato, ricordato implicitamente da Dante nella Divina Commedia (Inferno – Canto XXXII – versi 67-69) sarebbe rimasto fuori dalla sentieristica CAI, è il sentiero che ha contribuito a far conoscere le Balze allora.
Fra i motivi per cui fu fondato il CAI Valdarno Superiore nell’anno 1987, c’era il presupposto di valorizzare il territorio e nel territorio valdarnese, oltre a numerose testimonianze di rilievo vi sono piramidi, torrioni e lame di terra e ciottoli conosciuti solo in ambito locale e che seguono il filo dello sviluppo di quella bellissima strada, la Setteponti, prima antico tracciato etrusco, poi consolare romana Via Cassia Vetus/Clodia e nel Medioevo Via Sancti Petri. Era intendimento del CAI far conoscere e valorizzare anche quel paesaggio che da Laterina si snoda più o meno in continuazione fino a Incisa Valdarno ed è conosciuto come il territorio delle Balze
Nei primi anni ‘90 del secolo scorso, furono pubblicati bellissimi articoli sulle Balze del Valdarno in alcuni giornali di turismo a tiratura nazionale, come i mensili TuttoTurismo, Bell’Italia e Toscana Qui che dedicò la copertina alla balza più bella, sotto Piantravigne e lungo il sentiero 51, balza decapitata nell’alluvione del 1992 durante la quale si staccò l’enorme, spettacolare uovo di ciottoli e terra con diverse tonnellate di peso che era in precario equilibrio sulla sommità. Qualche anno dopo, nel numero di Febbraio 2002, nella rivista del CAI apparve un mio articolo con foto di Mauro Amerighi, che sollevò in tutta Italia una profonda curiosità, così che alla nostra sezione arrivarono tantissime richieste di coadiuvare escursioni in zona.
Chi conosceva bene la zona, sapeva che era difficile fare una sentieristica organica nel territorio delle Balze, anche se poi con numerosi accorgimenti fu realizzata, le Balze si snodano molto nella proprietà privata, con pascoli, allevamenti di pecore e recinti. L’unica zona dove vi erano strade vicinali bianche senza vincoli di transito era un anello da Castelfranco di Sopra, Botriolo, Le Riguzze, l’Acqua Zolfina, quindi fu deciso di optare per quel percorso. Durante la fase di segnaletica, che poi fu riportata nella cartina 1: 25000 della Carta del Pratomagno del CAI, mi piace ricordare diversi festosi incontri con un enorme cucciolone di cane razza San Bernardo che si chiamava Bernardo e che abitava in zona.
Oggi i tempi sono cambiati e giustamente nessuno beve più a pranzo o a cena l’acqua zolfina di quella sorgente, né da sola né mescolata con il vino; rimane la testimonianza ancora viva di questa fonte che ha contribuito fino a tempi abbastanza recenti a fare la storia della gente di questa parte della Setteponti, una lunga storia tutta da bere!
Testo e foto di Vannetto Vannini