La Storia…… Le Storie delle Balze

le balze del valdarno

Le balze plioceniche del Valdarno, con la loro morfologia tormentata fatta di pinnacoli di terra, ciottoli, creste sottili come lamine, anfratti e dirupi, con la loro linea discontinua a quote basse del versante valdarnese del Pratomagno  linea che inizia a Laterina e termina nel comune di Reggello ma diventa continua soprattutto nel tratto che va da Loro Ciuffenna a Castelfranco di Sopra , hanno segnato la vita degli abitanti dei paesi della Via dei Sette Ponti, condizionandone fortemente le attività e la viabilità. Dalle genti che vivono nei pressi dell’attuale Provinciale Setteponti, antica strada consolare romana, queste strane conformazioni geologiche sono sempre state chiamate “balze”; un timido tentativo, intorno al 1980, di chiamarle con nomi più allettanti, originali e fantasiosi come “Dolomiti di creta “ o “Camini delle fate”, non ebbe seguito perché non recepito o addirittura respinto dagli abitanti, come pure non è ben accetto il termine “smotte” o “calanchi”. Qualcuno ha scritto che le balze sono chiamate così perché, viste dalle colline del Chianti, ornano il versante valdarnese del Pratomagno di una balza continua di colore giallo, come una balza di vernice spesso fa da cornice alla colorazione di una stanza. Comunque stiano le cose, da sempre le “balze” sono state chiamate dalla gente che vi abita con questo termine, e si chiameranno ancora così. D’altra parte il linguaggio popolare certe volte è preciso e rigoroso come un vocabolario, fa testo e in questo caso detta legge. Nella fascia di territorio che va dal fondovalle al monte Cocollo interessando parte dei comuni di Terranuova Bracciolini, Loro Ciuffenna e Piandiscò-Castelfranco, con il termine “greppo” si identifica un ciglio o un muro, in genere verticale, di terra o sassi di non grande altezza e facilmente superabile il quale mette in comunicazione due appezzamenti (strisce o pianelli) di terreno. Con il termine “balzo” invece nella fraseologia rurale si intende un greppo dirupato, ma ancora superabile bene con certi accorgimenti perché di altezza modesta. Con il termine “greppa” si intende un “muro” di terra, di sassi, o misto terra-sassi molto alto anche alcune decine di metri, in leggera pendenza e che permette con alcune attenzioni anche un superamento, quando la greppa diventa verticale, scoscesa e pericolosa per l’azione dell’acqua e del ghiaccio, questa viene chiamata “balza”. Questa è la spiegazione del perché le balze sono chiamate così. In certi casi vengono chiamate con il termine di “forre” (forre di Persignano, di Piantravigne) ma con questo termine si identifica non solo la parete delle balze, ma tutto il comprensorio del quale fanno parte anche le terre coltivabili e di non facile accesso che sono alla base della parete scoscesa e diruta. Il termine “forra” è un termine molto appropriato perché indica una gola stretta e ripida sul fondo della quale spesso scorre un torrente. Geograficamente la linea delle Balze ha sempre occupato un posto di primo piano in quanto cerniera fra due zone molto differenti: quella pedemontana che ha sempre gravitato nel fondovalle e  quella collinare-montana che aveva nella parte montuosa il suo centro di interesse economico, abitativo e culturale. Nei piani del fondovalle si è sviluppata un’economia agricola basata su estesi campi di grano, foraggi, allevamenti e numerose case leopoldine. Sopra, a monte delle balze, sui rilievi del Monte Cocollo, di Montrago … invece troviamo la civiltà del castagno con nuclei abitativi costruiti a solatio al riparo dai venti, insediamenti caratterizzati da piccole costruzioni di modesta altezza, tetti di lastre e muri con netta prevalenza delle parti piene sulle vuote, piccole e rade finestre rivolte soprattutto ai quadranti favorevoli. Fino a metà del secolo scorso erano due mondi completamenti diversi non solo per il tipo di agricoltura portato avanti, ma ognuno aveva proprie tradizioni, modo di pensare, tipo di famiglia, di parlare, di socializzare, di vivere. Proprio per la particolare collocazione geografica, fra le balze sono aperte da sempre quelle vie di comunicazioni, vicinali, comunali o provinciali che uniscono il fondovalle ai capoluoghi comunali come Piandiscò, Castelfranco di Sopra, Loro Ciuffenna, ma anche piccole frazioni come Montecarelli, Piantravigne, Persignano, Malva, Poggitazzi, Montalto, Montemarciano, Ganghereto, strade che necessitano di manutenzione continua e che durante nubifragi sono interessate a frane, in genere piccole, e possono essere chiuse al traffico anche per settimane. Nelle pareti esterne delle balze si notano diversi strati di terra determinati dai vari cicli di riempimento che si alternano a strati di ciottoli di “sasso matto”, così chiamato dalla gente del posto un tipo di arenaria, contenente tracce di ferro, pochissimo collante e che si sfalda benissimo, tanto da essere, fino al secondo dopo guerra, ricercato, qui come nella nostra montagna, per farne sabbia da murare. Ma se la sua parete esterna per qualche millimetro in profondità, a causa dell’azione del gelo e di altri agenti atmosferici, si presenta sempre debole e friabile, appena sotto la superficie la balza, in genere quando non c’è argilla fresca, è compatta e durissima. Ciò avviene perché, per una reazione chimica fra i componenti della terra di balza (soprattutto silicati e alluminati) ed essendo catalizzata dalla pressione statica della massa terrosa sovrastante, la terra si cementifica, assumendo una durezza e una resistenza da sfidare i secoli. Proprio su questo tipo di roccia chiamato dalla gente locale “sansino” sono stati scavati i fondamenti delle case di tutti i paesi, grandi e piccoli della provinciale dei Sette Ponti. Il termine “sansino”, che potrebbe derivare dalla colorazione giallo-marrone della roccia e simile al colore della sansa olearia, non si trova in nessun moderno trattato di geologia e quindi sembrerebbe un termine di derivazione locale o dialettale. Invece “sansino” è usato da Emanuele Repetti nella parte introduttiva del Dizionario Storico Geografico della Toscana: «depositi di conchiglie fluviali e palustri di carcami di mammiferi di razze perdute, esistenti specialmente nella Valle Superiore dell’Arno, in quelli della Val di Chiana ecc. ecc. sparsi in gran copia sotto un tufo calcare ghiaioso chiamato “Sansino”». La popolazione delle Balze chiama il sansino anche “ roccia di balza” o “roccia che respira” in quanto, dopo una fatica immane per fare la buca usando attrezzi come punteruoli di ferro, vi si piantano viti, olivi, piante da frutti che hanno poi una crescita normale. Nella zona della via dei Setteponti, la presenza a profondità differenti del sansino, ci dà l’idea di come era estesa e larga la linea delle balze; e tutti i paesi dell’altipiano valdarnese come Persignano, Piantravigne, Montemarciano, Montalto, Poggitazzi… sorgono su speroni di sansino, che il lavoro dell’uomo ha poi modificato e addomesticato. Il rapporto fra le balze e la popolazione locale non è mai stato idilliaco, anzi, soprattutto dagli agricoltori le balze erano considerate come un “castigo di Dio” perché creavano ostacoli al passaggio, erano la dimora di molti animali rapaci, d’inverno era molto problematico raggiungere con i carri agricoli gli appezzamenti di terra. Nonostante  il giudizio molto negativo che le persone anziane hanno avuto fino a qualche decennio fa, le terre alla base delle balze erano coltivate intensamente a cereali, legumi, con filari di viti alternati a filari di alberi da frutto. Una coltivazione specifica che è sempre stata importante nella zona delle balze è stata quella del “fagiolo zolfino” che, su questo tipo di terra, ridotta finemente dai ghiacci, fresca, ma mai umida, e ricca di sostanze, ha sempre trovato l’habitat ideale.  Al contrario la “terra di balza “ non è mai stata adatta alla coltivazione del giaggiolo, che è stato ed in parte lo è ancora una coltivazione specifica di questa zona. Pur nascondendo nei loro anfratti molti rapaci diurni come falchi e notturni come volpi, nelle balze l’allevamento di polli è sempre stato intenso, facilitato dal fatto che per alloggio degli animali bastava scavare una piccola grotta nella balza e fornirla di porta. Interessanti e caratteristici, ma da tantissimo tempo inutilizzati, sono i pollai pensili che i contadini ricavavano scavando una cavità ad una certa altezza della parete della balza. Queste cavità artificiali, pollai pensili senza porta, collegati alla base della balza mediante una scala di legno che la sera veniva ritirata, molto funzionali contro le volpi, sono state in attività fino all’inizio degli anni ’70 del secolo scorso fino a che non sono arrivate le faine. L’arrivo delle faine nelle balze ha conciso con un momento particolare nella storia di questo territorio. Un aspetto importante da tenere in considerazione è che il territorio circoscritto proprio ai pinnacoli, agli anfratti, ai dirupi delle balze, da sempre fino a ieri, è stato considerato come una “zona franca” in cui tutti gli abitanti del paese potevano andare a fare la legna e soprattutto a tagliare rami di orniello e ginestre, due piante  che anche nelle zone più inaccessibili  crescono in maniera abbondante, per i conigli. Questo  aveva due risvolti: uno economico, in quanto molte famiglie ricavavano tutta la  legna necessaria per i loro usi; inoltre tutte le famiglie avevano  allevamenti di conigli  (il coniglio è sempre stato un piatto tipico, soprattutto la domenica, nella cucina dei paesi delle balze). L’altro aspetto era quello ambientale in quanto l’asportazione di legna da ardere, soprattutto acacia e quercioli, manteneva pulita la base delle balze evitando il bosco fitto e incontrollato che  si svilupperà successivamente. A inizio degli anni ’70, la società rurale preminente nei paesi lungo la provinciale dei Setteponti, ha dato il cambio ad un altro tipo si società, meno legata per motivi economici al territorio; la frequentazione delle balze è così venuta sempre meno e di conseguenza ai piedi di esse e negli anfratti più inaccessibili la macchia e il bosco incontrollato hanno preso il sopravvento. Questo mutamento ha condizionato la vita degli animali, anche predatori, tipici delle balze: sono arrivate le faine che hanno distrutto tutti i nidi dei corvi, provocando il loro allontanamento. Inoltre, essendo le faine predatori diurni e notturni e grandi arrampicatrici, hanno reso inutili i pollai pensili sulle pareti delle balza; infine sono arrivati gli istrici e i cinghiali. Tipici delle balze erano poi i piccoli orti ricavati nei posti più originali, pericolosi e impensabili, collegati con sentieri molto esposti nel vuoto e ricavati spesso scolpendo nel sansino degli scalini: orti usciti fuori dall’immaginazione e dalla genialità degli abitanti .Erano costituiti da una decina di metri quadrati di terreno coltivabile modificato a colpi di zappa e piccone, e avevano tutti alcune particolarità: erano in forte pendenza per cui il drenaggio era massimo, riparati dai venti ed esposti a solatio . In questi orti venivano seminati molto presto soprattutto fave e piselli e si racconta che, in annate particolarmente positive, si erano fatti due raccolti consecutivi; inoltre erano molto sfruttati per la produzione di carciofi. Coloro che coltivavano questi orti, si premunivano poi di scavare, in un punto accessibile della parete della balza, una o più cavità (buche) che servivano per rimessa degli arnesi e come luogo di riparo in caso di maltempo. Per questa ragione nelle balze di Persignano ci sono luoghi chiamati ancora “buca di Valente”, “buca del Matassini”, “Buca delle monache”, in quanto il nome era dato dal proprietario dell’orto o del fondo. All’interno delle balze si trovano anche dei filoni teneri e più o meno puri di argilla, argilla che, nei secoli passati fino al secondo dopo guerra, è servita soprattutto a costruire mattoni. Ai loro piedi vi sono ancora dei poderi o qualche zona chiamati “la fornace”, questo perché nei pressi era ubicata la fornace che ogni fattoria aveva per costruire mattoni, seccati al sole e utilizzati per restaurare e fare ex novo le case dei contadini. Sulla strada di collegamento fra il fondovalle e Piantravigne, appena sotto al paese è viva ancora nella memoria degli abitanti la “Fornace Collaino”, riportata nella vecchia carta 1:25000 dell’IGM e proprio con il nome “Fornace Collaino” anche nella carta CTR 1:10000 della Regione Toscana(nella foto a sinistra). Questa fornace, con essic camento mattoni al sole, che chiuse l’attività nel 1965, e utilizzava la terra delle balze locali che era molto ricca di buona argilla, ma  costruiva anche conche per fare il bucato e recipienti (conchini) per fiori. Poiché per questi ultimi due manufatti, l’argilla deve essere di qualità superiore rispetto a quella utilizzata per fare mattoni, la si cercava sulle pareti delle balze. Quando veniva trovata la si estraeva all’interno della balza, e una volta esaurito il filone, rimaneva  una piccola o grande galleria sostenuta da pilastri di sansino. Ecco perché, percorrendo la salita di Piantravigne, di fianco alla ex fornace Collaino si trova una balza che desta un po’ di curiosità, per la fessura grande come una stanza che si trova circa a metà altezza: quella fessura è originata proprio dall’estrazione di ottima argilla per costruire recipienti per fiori. Notevole importanza hanno avuto le balze durante il passaggio del fronte bellico nell’estate 1944, perché appena sfondato il fronte tedesco a Cassino, nel gennaio di quell’anno, si ebbe la certezza che anche la nostra zona sarebbe stata poi interessata al passaggio del conflitto, per cui la popolazione si attivò per creare dei rifugi dove proteggersi quando sopra alle case del paese sarebbero fischiate le cannonate. Soltanto a Persignano ne furono scavati una decina privati e uno enorme, condominiale, con un’entrata e un’uscita dalla parte opposta, ubicato e scavato in maniera di essere al riparo da eventuali bombe cadute nei pressi e dotato di un lungo corridoio a zig-zag con ai lati le celle per dormire e per i viveri. In questo rifugio, per il quale i persignanesi non tollerano il nome “grotta”, insieme alla popolazione si rifugiavano spesso i militari tedeschi quando gli alleati bombardavano dalle colline del Chianti con i grossi calibri le postazioni germaniche sopra alla Setteponti. È istruttivo è visitarlo  perché  consente una visione reale della consistenza interna della balza formata dal sansino; interessanti sono le sculture sulla parete fatte per ingannare il tempo durante la permanenza, alcune date del periodo bellico, nomi di persignanesi ormai scomparsi da tempo. Soprattutto è da notare che in ogni cameretta o cella vi sono una o più nicchie in cui venivano collocate candele per l’illuminazione e immagini sacre alle quali i “rifugiati” si rivolgevano con fiducia e devozione quando all’esterno tuonava il cannone o fischiavano gli aerei. In tempi poi in cui la televisione non esisteva, o comunque era usufruita solo la sera dopo cena, le balze erano il luogo di ritrovo e dei giochi dei ragazzi dei paesi. Ogni giovanetto aveva adottato una o più balze dove aveva scavato delle nicchie: queste cavità erano il luogo magico dove il ragazzo elaborava i propri pensieri, i propri segreti, i propri programmi su quella che sarebbe stata la propria vita attuale e quella da venire. Io sulla mia balza, dove ero l’unico a saper salire sulla vetta, ho cominciato ad amare il territorio e imparato a “fare l’alpino”, proposito che poi ho mantenuto al momento buono. La zona delle balze è sempre stata interessata a piccole frane durante le piogge intense come quelle del marzo 2013 che bloccarono la circolazione contemporaneamente a Piantravigne, Castelfranco di Sopra e Montemarciano. Però vi sono state anche delle frane enormi, sprofondamenti verticali di terreno per una lunghezza anche di qualche chilometro che hanno cambiato completamente la geografia e la morfologia del luogo. Osservando  con attenzione il territorio, si intuisce benissimo che nell’arco dei secoli vi sono state nella zona frane enormi di cui ormai si è persa memoria. Nel tratto fra Persignano e Malva si ricorda bene la frana del 3 Maggio 1941 di cui ancora rimangono molto ben visibili le pareti scoscese; nel 1965 fra il borro delle Cave e Poggitazzi sparì completamente la strada della Maremmana, un’antica strada storica comunale che univa il fondovalle alla provinciale dei Setteponti, e usata dalle greggi che dalla nostra montagna facevano sosta a Poggitazzi per proseguire poi per la Val d’Ambra e quindi per la Maremma. Nella primavera del 1974 un’enorme parete sprofondò in località Tamacco, appena sotto la via dei Setteponti fra Malva e Piantravigne. L’ultima grande frana è avvenuta il 5 Maggio 1995, appena sopra la strada comunale che da Persignano porta a San Giovanni Valdarno, e ha interessato il crinale fra Macinarotta sopra a Riofi e le Cannelle. Questa frana ebbe molto risalto nella stampa e nelle televisioni locali e regionali. Poiché queste ultime grandi frane hanno rivelato la presenza nella zona interessata di vene di acqua prima sconosciute, si può ipotizzare che l’acqua con il passare degli anni, abbia scavato delle enormi cavità e lo sprofondamento poi del terreno sovrastante sia dovuto al cedimento del tetto di queste cavità. Ogni paese della provinciale dei Setteponti ha le proprie balze più o meno belle e caratteristiche: le balze di Montemarciano, di Montalto, di Poggitazzi, delle Cave, di Corneta, di Persignano, di Piantravigne, di Botriolo, di Montecarelli, fino poi a sconfinare in quelle di Ostina e del Montanino in provincia di Firenze. L’attenzione per queste strane conformazioni geologiche è venuta soprattutto dagli anni ’80 del secolo scorso per l’interessamento di riviste di turismo e per il cambio di mentalità fra gli stessi abitanti delle balze che hanno smesso di considerare queste particolarità del loro territorio come un “accidente”, ma un qualcosa che poteva dare lustro alla zona e essere sfruttato anche dal punto turistico. Per quel che riguarda la zona di Persignano, dove si trovano due fra i gruppi più caratteristici e belli di balze, le forre davanti al paese e le balze di Corneta sotto al paese, si può dire con certezza che il primo turista fu un inglese il quale nell’afosa estate del 1951, arrivò in macchina con moglie e figli nella piazza del paese. Dopo aver salutato, prese carta topografica e macchina fotografica e si avviò con sicurezza fra lo stupore di tutti noi, verso la stradella che porta al rifugio condominiale. Ritornato dopo alcune ore in piazza, sudato fradicio ma contento, tirandosi dietro tutta la famiglia e una nuvola di tafani, fece merenda a base di finocchiona e vino nella bottega di generi alimentari di Gino del Fiorilli. Poi salutò cortesemente tutti e bevve abbondantemente alla fonte del paese.  Tutti capirono che conosceva le forre di Persignano  e qualcuno riconobbe nel turista, un ufficiale inglese di un reparto militare di  indiani  che  durante il passaggio del fronte bellico nell’Agosto 1944 avevano  reso agibile il ponte di  Malva distrutto dai tedeschi in fuga. Questo episodio di per sé insignificante al quale fui presente e di cui ricordo  i minimi particolari, mi sembra importantissimo perché, per la prima volta, nella popolazione di Persignano sorse il dubbio che il suo approccio negativo nei confronti delle balze fosse sbagliato e da riconsiderare. La gente capì che se un inglese (sicuramente di un reparto indiano), dopo sette anni ritornava a Persignano per rivedere quelle strane guglie di terra e ciottoli, significava che le nostre balze, fra i tanti aspetti negativi, dovevano avere anche qualche aspetto positivo che non era stato ancora considerato. A metà degli anni ’50  cominciarono a trovarsi in vendita nelle tabaccherie alcune cartoline delle balze, soprattutto di quelle di Persignano e Piantravigne perché erano le più facili a raggiungere e fotografare in quanto lungo la strada. Erano cartoline molto belle, a colori ma anche in bianco e nero, che oggi fanno la gioia dei collezionisti. La presenza di queste immagini patinate rafforzò negli abitanti l’idea che le balze rappresentavano anche un vanto per il paese. Inoltre, sebbene ancora isolato, agli inizi degli anni ’60  ci fu qualcuno che aveva sicuramente capito l’importanza scientifica oltre che paesaggistica di questo territorio.  In “Cellule e Universi”  edito dalla Bruno Mondadori, libro di testo del corso di scienze dell’ITI di Arezzo dell’anno scolastico 1962, nel capitolo dedicato alla geologia si trovava una bella foto delle balze di Persignano con la spiegazione delle varie reazioni chimiche di cementificazione avvenute nell’arco del tempo all’interno della balza. Ma gli anni più proficui per la conoscenza e la frequentazione della nostra zona furono quando, sempre nei primi anni ’60 fu aperto il tratto autostradale fra il Valdarno e Firenze. In poco meno di mezz’ora da Firenze si arrivava alla Setteponti, così furono tanti i fiorentini che la domenica si riversarono nella nostra zona e fecero la scoperta non solo delle balze, ma dei paesi, delle chiese, delle pievi; e tanti furono gli angoli di paese e del paesaggio fotografati e riportati nelle loro tavolozze. Negli anni ’70 e 80 l’editoria turistica dette vita a riviste nazionali come Tuttoturismo, Natura Oggi, Bell’Italia, Airone, Toscana Qui e tutte hanno fatto dei bellissimi e lunghi articoli soprattutto fotografici sulle balze; addirittura il mensile “Toscana Qui” edito dalla casa editrice Bonechi di Firenze, in un numero dedicò la copertina della rivista alla “Balza dell’uovo”. Oggi se vogliamo rivedere la foto di alcune balze celebri, come quella di Piantravigne, con sopra un grande agglomerato di terra e sassi a forma di uovo del peso di diverse tonnellate, caduto giù nell’alluvione del 1992, dobbiamo ricercare gli articoli con foto delle balze su queste riviste. L’anno però più importante per le Balze il 1994, quando fu messo in commercio un libro fotografico, realizzato dalla signora Giulietta Piccioli e dal geologo Giovanni Billi, che ebbe un gran successo e che, per la prima volta, fece capire alla popolazione residente e agli amministratori locali che le balze erano una testimonianza geologica importante da tenere in considerazione. Il grande successo di questo libro dette un colpo al disinteresse per  questo territorio da parte degli amministratori locali tanto che il comune di Castelfranco di Sopra, nei giorni 25 e 26 marzo 1995 realizzò, con il patrocinio della Provincia di Arezzo, A.P.T. di Arezzo e la Comunità Montana del Pratomagno, due giornate di studio sulle Balze con mostra di pittura e mostra fotografica. Il convegno si svolse nel teatro Wanda Capodaglio di Castelfranco di Sopra ed ebbe la relazione introduttiva fatta dal prof. G. Rodolfi dell’Università di Firenze, l’intervento del geologo dott. G. Billi e  di chi scrive  , in rappresentanza del C.A.I. In questa occasione sviluppai il tema “i rapporti fra la popolazione e le Balze”, tema importante e molto seguito che chiuse una giornata bellissima e interessante. Il giorno successivo ci fu una “escursione a piedi” organizzata dal C.A.I. al quale partecipò tanta gente venuta da fuori e che per la prima volta fece  conoscenza con questo territorio; la manifestazione proseguì fino al tardo pomeriggio con l’apertura di stand di prodotti locali e premiazioni. Dopo questo convegno, anche il comune di Terranuova Bracciolini organizzò a Montemarciano un incontro sulle balze, al quale partecipò anche il C.A.I. Valdarno Superiore e proprio all’attività della nostra sezione C.A.I. fu fatto riferimento più volte per una conoscenza diretta del territorio in questione. Nel 1996 fu presentata a Querceto la carta topografica 1:25000 fatta dal C.A.I. (sezioni Valdarno Superiore, Firenze e Arezzo) che fra i percorsi riporta l’anello delle Balze di Botriolo – Piantravigne (sentiero C.A.I. 51 dell’ Acqua Zolfina). Quella di rappresentare in una carta del Pratomagno un percorso ad anello sulle balze fu una intuizione felice, tanto è vero che questo anello è stato percorso con soddisfazione da migliaia e migliaia di persone venute anche da lontano. Nella stessa carta viene riportato un altro sentiero C.A.I. (n° 35) che attraversa le balze di Poggitazzi per poi portarsi sul monte Cocollo. Purtroppo, nella stesura della cartina non fu preso in considerazione dal C.A.I. l’inserimento altri percorsi a circolo già collaudati nella zona delle balze di Poggitazzi, percorsi che avrebbero avuto lo stesso successo di quello dell’Acqua Zolfina. Nel 1996 uscì la prima carta 1:20000 dei sentieri delle Balze, carta schematica realizzata dall’Ente Fiera Valdarno con il supporto del C.A.I. Valdarno Superiore in collaborazione con l’associazione “Natura a Cavallo” e con il patrocinio del Comune di Terranuova Bracciolini e il Comprensorio Turistico Setteponti. In contemporanea alla pubblicazione della cartina fu realizzata una video-cassetta sulle balze con riprese fatte da un deltaplano. La video-cassetta, prodotta dall’Ente Fiera Valdarno e realizzata da due professionisti come Walter Bencini e Alessandro Saragosa, dal titolo “300.000 anni di storia e natura nel Valdarno Superiore”, destò grande meraviglia ed ebbe un successo strepitoso tanto che solo qualche mese dopo risultava già introvabile sul mercato. Qualche anno dopo, il territorio delle balze fu dichiarato “Area Naturale Protetta di interesse locale “ (A.N.P.I.L.) e si ebbe la necessità di avere una cartina un po’ più elaborata della precedente, con la descrizione dei sentieri in italiano e in inglese e con il grafico altimetrico. Furono individuati cinque sentieri a circolo tutti in provincia di Arezzo nel tratto da Ganghereto a Vaggio. Questi sentieri furono verificati e segnati con segnaletica C.A.I. e all’inizio di ciascuno fu posta una tabella esplicativa con il percorso; inoltre in certi punti furono poste delle paline direzionali con frecce di legno. Nella realizzazione di questi sentieri fu tenuto conto delle emergenze artistiche e architettoniche della zona e la descrizione fu fatta anche in lingua inglese. La carta in questione, elaborata dal C.A.I. Valdarno Superiore, fu pubblicata dal Centro Pluriservizi S.P.A. con il patrocinio del comune di Terranuova Bracciolini e la Regione Toscana. Un anno importante per le Balze fu il 2002, perché nella Rivista ufficiale del Club Alpino Italiano che veniva inviata a tutti i soci, comparve un mio articolo proprio sulle balze illustrato da bellissime foto fatte dal socio Mauro Amerighi,  ex sindaco di Terranuova Bracciolini. Le Balze del Valdarno entrarono così nelle case di tutti i soci C.A.I. e ne fu presa conoscenza, tanto che arrivarono in zona diverse comitive di escursionisti anche da fuori regione e un mio carissimo amico di Napoli, alpinista e vulcanologo famoso, Onofrio di Gennaro, mi inviò una graditissima e bellissima lettera di plauso per l’articolo che avevo scritto. Mancava ancora una guida delle Balze: arrivò nel 2007 con il titolo “Le Balze Una storia lunga milioni di anni fa nella Valle dell’Arno”, edita dal comune di Terranuova Bracciolini. Questo volumetto di 110 pagine, con la traduzione in lingua inglese, oggi introvabile, è stato veramente un capolavoro di professionalità tanto che appena pubblicato andò letteralmente “a ruba”. La guida che porta la presentazione di Federigo Fazzuoli non si limita ad una elencazione di itinerari, ma spazia dalla storia geologica, alla cucina, ad avvenimenti storici del Medioevo, alle tradizioni, alla natura, con articoli di Marco Noferi, di Carlo Fabbri, di Giovanni Billi, di Beppe Bigazzi, di Alessandro Romei, di Dante Priore, di Marina Pischedda, di Claudio Resti, di Marco Valtriani e del sottoscritto. Allegata al volume c’è una carta 1:20000 dei percorsi delle Balze curata dal C.A.I. Valdarno Superiore. Nonostante non vi siano state altre pubblicazioni su questo territorio, qualche comitiva, soprattutto di soci C.A.I. o di altre associazioni di trekking, arriva sempre. L’interessamento delle autorità locali è stato a volte intenso, ma poi sono seguiti lunghi periodi di interessamento scarso o nullo. La difficoltà grossa è che, per fare un lavoro proficuo su questo territorio, occorre mettere insieme contemporaneamente le energie di più comuni (Castelfranco/Piandiscò – Terranuova Bracciolini – Loro Ciuffenna – Laterina). Anche la sezione C.A.I. Valdarno Superiore si è sentita negli anni passati poco impegnata nella valorizzazione di questo territorio, collaborando alla stesura e descrizione dei percorsi della carta e della guida più per l’intraprendenza e iniziativa personale di alcuni soci che per convinzione sezionale.Oggi però con le nuove possibilità telematiche  le cose sono cambiate e per il C.A.I. si aprono nuovi orizzonti che prima erano impensabili, orizzonti che permettono veramente non solo di fare conoscere ma di far percorrere in sicurezza anche i punti più nascosti delle balze, un territorio capace di colpire l’attenzione di Leonardo da Vinci che lo studiò, lo capì e lo riportò sulle sfondo dei suoi capolavori come la Gioconda e la Vergine delle Rocce.

Vannetto Vannini past President Sezione Club Alpino Italiano Valdarno Superiore

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