LA TRE GIORNI IN PRATOMAGNO – DA GROPINA A VALLLOMBROSA

I Soci ci Scrivono Notizie

Caro Leo Te la voglio raccontare…

…Molti di voi conoscono Leo, soltanto Leo perché anche al CAI dell’avv. Failli da tempo non ne vuole parlare; questo fatto all’epoca mi colpì e con molta improprietà mi venne spontaneo il paragone, il “…fui da Montefeltro io son Bonconte!” di Dantesca memoria. Con Leo nacque un amicizia, di quelle che capisci subito, a pelle, che sono destinate a rimanere tra le cose belle della vita; diversi tra noi e lui con molti più a suo favore, quello di minor pregio la differenza di età, non sembri un offesa perché di Leo è ammirevole il suo vissuto intenso extra professionale; ci accomunano aspetti il primo dei quali la curiosa attenzione alla natura nella quale immergersi con rispetto, ad armi pari, da conviverci con equilibrio per preservarla… Ma basta! so che questi che posson sembrare complimenti gli danno più fastidio che piacere! Da queste premesse traggo le ragioni per le quali mi fa piacere raccontargli, la piccola ma bella esperienza della traversata da Gropina a Vallombrosa, che in alcuni momenti faceva riaffiorare il nostro indimenticato Cammino di Santiago. Vorrei allargare la lettura anche ai soci che questa volta non hanno partecipato ed a quelli con cui abbiamo vissuto l’esperienza, perché penso farà piacere ricordarla, oltretutto saranno testimoni e critici del racconto. Si annunciava tempo incerto, ma quant’è bella l’incertezza specie quando il timore diventa inutile, visto che in fatto di clima meglio non ci poteva capitare: bello, mite, fresco e caldo ai momenti giusti, l’umidità mattutina ad esaltar colori e odori dei fiori e della vegetazione.

PRIMO GIORNO

GropinaGropina è un gioiello quasi dimenticato nella natura, perché ha la fortuna di essere lievemente fuori mano; sono entrato nella Pieve con uno zaino di oltre dieci chili a cui dovevo fare abitudine, il segno della croce, una preghiera e l’ammirazione per quella sobria eleganza di un interno che invita al raccoglimento. Se passando in zona vi avanza un quarto d’ora fermatevi, sarà ben speso. Augurale foto di gruppo sul portone d’ingresso e si parte: 54 chilometri da percorrere, siamo in quindici. L’intero itinerario è esaltato dai profumi, tutto è in fiore; Romano ci fa conoscere quello del “succhia miele”, il mio analfabetismo botanico non consente l’identificazione della pianta selvatica che, a margine del sentiero, ci offre i suoi fiori violacei con i pistilli gialli (dolcissimi); non l’avevo mai notata. Raggiunta Chiassaia la maggior fatica era alle spalle (non solo per il peso degli zaini); sosta pranzo e dato che non reggo alle tentazioni, non mi son fatto mancare la schiacciata calda imbottita tanto che era più il companatico del pane! Per digestivo? il resto del percorso da fare in mezzo a castagni e faggi attraverso l’ampio semicerchio formato intorno al borro del Cinghio. Piacevole saliscendi per raggiungere presto il primo dei punti tappa alla Trappola, ci siamo sistemati nell’ostello della canonica mentre il cielo si apriva e l’aria si faceva frizzante, fatto che ha migliorato la visione del panorama circostante. L’aria pizzichina ci ha spinto all’interno del Vin de’ nuvoli, quasi fosse un rifugio di alta quota, e come accade in quei casi, partono i racconti, le bevute in attesa della cena… Quant’è bello stare insieme! Il tempo vola, ci chiamano per la cena. In cucina si son fatti onore, per non deluderli ci siamo impegnati, è stata l’ultima piacevole fatica della giornata.

 

 

 

SECONDO GIORNO

 

PonticelliDi buon ora le nostre fate sono scese per sorprenderci con una colazione da fiaba, pur in assenza del tovagliame di Fiandra, l’apparecchiatura era splendida, il caminetto acceso, il pane ad abbrustolire… Un bel quadro di una famiglia un po’ numerosa. Ottimo inizio. Si parte, il gruppo è rafforzato da tre soci che si limiteranno all’escursione della giornata ed alla cena, rimane il mistero di cosa li abbia maggiormente attratti, ma le promesse per la seconda erano davvero ammalianti. Il gruppo aveva tutt’altro che voglia di rispettare il programma. Deciso! Si va anche alla Croce e figurati se si va per i sentieri noti; si trae spunto dal custode dell’ostello per una variante da fungaioli: si evita Pozza Nera e salendo gradualmente tra i faggi si arriva proprio sotto Poggio Masserecci… Non è la via dell’orto però è più agevole, comunque per salire alla Croce di tossine se ne spurga tante lo stesso. Nessuno si lamenta, d’altronde “mal voluto non fu mai troppo”. Gran giornata, il panorama, la brezzolina, il sole, breve sosta alla Croce anche per ringraziare chi ci da la forza per arrivarci e si riparte sullo “00”. Al Varco alla Vetrice ci raggiunge nella sosta pranzo Luigi, anche lui s’è fatto una bella sgropponata, dato che era partito poco sopra Castelfranco… di Sopra. Era prevista la prosecuzione sullo 00 fino al Poggio dell’Uomo di Sasso; se ne fosse azzeccata una delle previsioni! Al bivio per Massa Ladronaia si va a prendere il sentiero dei fungaioli che Montrago arriva al Varco di Gastra, si monta sullo 00? Macchè! Si prende il traverso che da lì ci porta direttamente sopra il Poggio di Castelluccio dove la nostra guida Alessandro Simonti lascia a me le consegne; non a caso lì finisce la valle del Resco Simontano. Anche se non si entra in quella del Resco Morandino, francamente di qua sono molto a casa, do subito sfogo a questa dimestichezza ricordando la trecentesca presenza del sistema difensivo dei conti Guidi (Poggio alla Regina, Torre del Monte Acuto e l’ultima torretta sul Poggio – per questo motivo di Castelluccio) andata anch’essa interamente distrutta, per mano dei fiorentini, dopo la vittoria di Campaldino. Si va a terminare la discesa al Romitorio di Ponticelli, punto sosta un po’ improvvisato, decisamente decoroso, tutto fila bene come da programma… e da fuori programma. Abbiamo un “catering” retto da “cavalli di razza” la cena è abbondante all’insegna della genuinità ed il buon vino, il vinsanto, i dolci ci hanno spinto all’allegria. Bel momento conviviale, il dopo cena “recitato” da Vincenzo emulo di Totò nel declamare “A Livella” che ha trovato degno contraltare nell’Armando “consigliere dell’Opera di Ponticelli” con i sonetti di Trilussa, rigorosamente recitati a memoria. La stanchezza ha presto posto fine alla veglia, saluti e a letto, …oops al sacco a pelo, sopra i materassi distesi nello stanzone laterale alla sala di cucina.

ULTIMO GIORNO

VallombrosaLa colazione non poteva essere da meno di quella del giorno precedente, marmellate casalinghe e copiose dolcezze genuine hanno messo gli stomaci al riparo dalle crisi di zuccheri per un bel pezzo! Davanti al Romitorio si forma il gruppo per l’ultima tappa, i tre soci usciti sono sostituiti da tre nuovi, quindi in pari forza si parte per la foresta di Sant’Antonio (area protetta) che si dispiega per l’intera vallata del Resco Reggellese. La sapienza dei carbonai ha nei secoli disegnato una rete di sentieri che rende accessibile quest’aspro contesto vallivo; “leggendo” questa sapienza abbiamo usato un tracciato piacevole che “ricamando” l’orografia della foresta ci ha portato fino alla pista della forestale, imboccata la quale saremmo arrivati alle case di Sant’Antonio per giungere poi fino alla Macinaia… Saremmo, …ma ti pare che andasse bene. “O perchè un si va a ‘i faggione?? Dai, via, portaci!” Va bene si cambia. E’ vero il faggione di Prato a Marcaccio è il faggio “matricina” più imponente della montagna. Un tempo il faggio (legno da ufficio) veniva usato per sedie, scrivanie etc. per cui era un legno di medio pregio ed il suo taglio nelle foreste era sistematico; vengono chiamate matricine le “piante da riproduzione” tanto che mal volentieri venivano lasciate dai tagliatori, il paesaggio era molto diverso e di tale diversità ne sono prova i toponimi come “Pratopiano”, Pratelli dell’Oncina”, “Prato di dietro” e appunto “Prato a Marcaccio”. Nella foresta quindi s’incontravano frequenti ampie aree prative dove, dalla primavera all’autunno, pascolavano le pecore all’alpeggio. Marcaccio era probabilmente un pastore che dette il nome all’area prativa del proprio gregge; la ormai famosa matricina del faggione, se l’osservate bene, in realtà deriva dall’accoppiamento di due faggi troppo vicini e non buoni per l’uso mobiliero; come spesso van le cose nel mondo, lo scarto del tagliatore è divenuto un albero maestoso, tanto che, come tanti, ha incuriosito anche i nostri escursionisti. La variante di percorso, dopo la sosta pranzo al faggione, ci ha obbligatoriamente fatto ritornare sul crinale al varco della Croce al Cardeto, il più era andato. Il resto del percorso ormai non presentava più asperità e piacevolmente abbiamo attraversato fino alla casa di Macinaia per scendere alla meta (Abazia di Vallombrosa).

 

Caro Leo,

…essere stati tre giorni appena sopra a casa poteva sembrare banale, ma come hai capito non lo è stato. Se penso al privilegio che hanno avuto le nostre generazioni nel rincorrere il turbinoso e splendido progresso che esponenzialmente ci propina novità che a volte rendono obsoleto l’inventato del giorno avanti, che senso ha andare a piedi portandosi dietro anche il necessario per la toelette personale? Non era certo per dare un senso alla vita, vana gloria la conquista fatta! Al più un pizzico di soddisfazione, se, magari dalle colline del Chianti, rimirando la catena del Pratomagno si potrà dire: oh, l’abbiamo attraversata tutta per davvero! Per me un senso ce l’ha e credo di averlo anche letto negli occhi dei nostri compagni di viaggio: è la soddisfazione di essere stati insieme e da soli anche a riflettere, con l’incertezza e l’improvvisazione con cui spesso dobbiamo affrontare la vita. Forse m’illudo, ma le esternazioni ricevute dai partecipanti non mi sono sembrate di circostanza. Questo per me e credo anche per Alessandro, era il vero obiettivo, la “moneta” che speravamo di ricevere. A presto, augurandomi di poter percorrere altre “banalità” simili a questa.

 

Reggello, Agosto 2014                                                       Federigo Morandini

 

 

 

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