La “Casetta del Bercio”

Loro Ciuffenna Terre Alte Valdarno

Poco distante dalla Trappola, su uno sperone roccioso a quota 1065m. lungo il sentiero CAI 24 è situata una casetta in muratura chiamata “Casetta del Bercio”. Si chiama in questa maniera perché, poco distante, c’e un eco che ripete le parole più volte, quindi c’è un “bercio” naturale. La casa,  solida e costruita molto bene con blocchi perfettamente squadrati di macigno del Pratomagno, fu eretta appena dopo la prima  guerra mondiale  come “casina di caccia” per il Barone Ricasoli,  la cui dinastia,  fin dal Medioevo, era proprietaria di vasti appezzamenti di terreno  nel Pratomagno.

Nel 1961 i Ricasoli vendettero tutta la loro proprietà al Demanio  e quindi la Casetta del Bercio passò alla Forestale. Nel 1972 fu costituita la sezione Aretina del CAI e, qualche anno dopo, fu stipulato  un accordo  mediante il quale la Casetta del Bercio fu data in uso al CAI aretino che la trasformò in rifugio sezionale. Il luogo è invitante, non visibile perché circondato da altissimo abeti che creano un ambiente adatto al pic-nic e al riposo. La strada carrozzabile che dalla Trappola porta alla Panoramica passa ad un centinaio di metri.

Il sottoscritto ricorda benissimo che quando nel Dicembre 1975 si segnò alla sezione CAI Arezzo, nel momento di prendere la tesserina (che è sempre quella attuale con  37 bollini), il segretario di allora,  il mitico Osvaldo Bocciardi,  mi mise al corrente che tutti i soci, dietro prenotazione e pagando 500£ al giorno a persona, potevano avere l’uso del rifugio ritirando la chiave in sezione. Ricordo che l’arredamento consisteva solo in qualche sedia, una panca e una tavola  nella cucina, cucina   dotata di focolare  che, appena acceso, e anche dopo, riempiva di fumo acre la piccola stanza. C’era una cassetta di pronto soccorso e  inoltre una piccola dispensa contenente cibi in scatola che, se consumati, dovevano essere reintegrati dal consumatore al momento di pagare la quota giornaliera, quando riportava la chiave in sezione. All’ingresso faceva bella mostra il “Libro del rifugio” dove  si firmavano  gli eventuali utenti e dove lasciavano, all’uscita,  una loro dichiarazione o altro pensiero.   Sempre a pian terreno, dopo il sottoscala,  vi era un locale più grande con anelli in ferro e mangiatoia che doveva servire da rimessa cavalli durante le battute di caccia e che al rifugio serviva come rimessa attrezzi e legnaia. Al piano superiore, al quale si accedeva tramite una rampa di belle scale in pietra, erano ubicate due stanze che prendevano luce da due finestre. Salendo le scale a destra, c’era il dormitorio della servitù che accompagnava il Barone alla caccia, alla sinistra una bella stanza soffittata con assi  sulle quali era dipinto a colori  lo stemma dei Ricasoli.

Durante il 1976 la sez.CAI di Arezzo fece numerosi lavori  con l’aiuto di diversi volontari (anche il sottoscritto). Per l’interessamento del vicepresidente sezionale Ing.re Amedeo Ademollo (ingegnere idraulico e professore di idraulica alla facoltà di ingegneria dell’Aquila) fu individuata nei pressi una sorgente d’acqua che fu captata e portata all’interno del rifugio e utilizzata per il lavandino in cucina (acquaio) e per quello del bagno, (water e lavandino), che fu ricavato in un pezzo di sottoscala. A servizio dell’acquaio e del

bagno furono fatti gli scarichi. Ricordo che sempre, al momento di lasciare il rifugio, l’utente doveva tassativamente chiudere l’acqua mediante una valvola in un pozzetto  esterno interrato e scaricare, con un’ altra valvola, la parte interna del condotto acqueo. All’’impianto elettrico pensò il  presidente sezionale Benso Banchelli ( detto Benno), una persona alla quale tutti volevamo un gran bene, un montanaro vero. Benno era titolare di una ditta che costruiva parti meccaniche  elettriche. Fece l’impianto elettrico regalando al rifugio un generatore che duro poco in quanto “ visto e preso” ; non fu più ricomprato e l’illuminazione interna si basò sull’ utilizzo  di pile e candele.

L’anno dopo furono sistemate le camere al piano di sopra e fu destinata alle donne quella soffittata del Barone, l’altra al pernottamento dei maschi. In ogni camera furono montati 7 letti a castello per un totale di 14 posti letto a camera e ogni letto dotato di un materasso di gomma piuma. In tutto 28 materassi per 28 posti letto. A causa dell’inflazione galoppante ci fu anche un aumento della tassa giornaliera: da 500 £ passò a 1000£  e poco dopo a 1500£ al giorno per persona. C’era un problema: oltre alla chiave ufficiale ce ne erano diverse “ ufficiose”.

Ci fu un periodo alla fine degli anni ’70 fino a metà degli anni ’80 nel quale il rifugio era frequentatissimo, d’estate da famiglie che si trattenevano per il fine settimana e d’inverno dagli appassionati della neve e dello sci di fondo. Numerosi eravamo i soci che avendo come base il rifugio facevamo tecnica di progressione su ghiaccio sul costone  del Diaccio alle Vacche; le ragazze erano le più temerarie. La mia squadra ( squadra degli alpini) ha usato per diversi anni il rifugio per l’ultimo dell’anno per fare una notturna invernale alla Croce, dove siamo sempre arrivati in tempo per stappare a mezzanotte lo spumante; nel 1976  e nel 1979 lo spumante era ghiacciato. L’ultimo  “ultimo dell’anno” è stato fatto nel 1986/87 dal sottoscritto insieme  a Lachi Paolo, Rosadini Giorgio, Frontani Paolo e relative consorti. Arrivammo alla Croce immersa in una nebbia nera e fittissima alle 23,50 (aiutandoci un po’ con le macchine)  dove vi trovammo un cane solitario che ci fece grandi feste e, al ritorno, ci seguì per diverso tempo. Quella notte scrivemmo i nostri nomi nel libro del rifugio e poi aggiungemmo “ Cai Valdarno”

Nel 1987 la ormai costituita Sottosezione Valdarno partecipò in massa alla castagnata fatta dalla Sez. di Arezzo mentre, a fine ottobre 1988, fu la stessa Sottosezione che organizzò la castagnata (la prima) per tutta la sezione di Arezzo alla Casetta.

Dopo la metà degli anni ’80  la porta del rifugio subì numerosi atti vandalici e molto spesso si trovavano all’interno resti di pernottamenti  sconosciuti. Nella prima circolare della Sottosezione Cai Valdarno per la prima escursione (25 Aprile- Greve in Chianti/Volpaia) ebbi cura di riportare la notizia che il rifugio era a disposizione di tutti i soci della Sottosezione e alcuni ne usufruirono.

Nel 1992 io con Emilia, mia moglie, e Maurizio Barlacchi con la consorte Luana vi passammo la giornata del Ferragosto, salvo poi  nel tardo pomeriggio scappare di corsa alla Trappola causa un temporale estivo tremendo con tuoni e fulmini nelle vicinanze.

Persistendo continuamente gli atti vandalici il rifugio fu poco frequentato tanto che, nel 1992, il Cai di Arezzo ci infornò che aveva intenzione di lasciarlo e ci chiesero se interessava alla nostra sezione la gestione. In una riunione di consiglio della giovanissima Sez. Cai Valdarno Superiore (presidente il sottoscritto) il problema venne portato all’ordine del giorno e discusso e, dopo votazione, decidemmo che l’offerta non ci interessava ( io ero favorevole).  Da quel momento la Casetta del Bercio passò alla Comunità Montana. Purtroppo la Sezione Cai di Arezzo ha smarrito il “Libro del Rifugio” dove c’era scritto un pezzo della storia di quella sezione,  costituita da tante firme, tanti consigli, tante bischerate, tante promesse, tanti disegni che parlavano.

Oggi lo stato della Casetta è disarmante. Le porte sono state rinforzate  e duplicate con altre porte in ferro e non si può entrare  ma, dall’esterno,  si riesce a vedere  qualcosa delle condizioni del piano terra (vedere foto).

Per quelli come  me, che quando la casetta di caccia diventò rifugio avevano trent’anni o giù di li,quando  vi passano,  sono esi dal magone ripensando al meraviglioso rifugio di allora, alle amicizie, alla gioventù, alle nostre avventure in montagna, a tante,  tante altre cose piacevoli.

Per noi che lo frequentavamo assiduamente allora e oggi sulla via dei settanta, il Bercio è e rimarrà sempre “ il Bercio”!!!!

Testo, foto (e ricordi )di Vannetto Vannini

 

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